Intervista ad Andrea Marchesini, Head of Group HR Strategy di RGI Group, per conoscere i programmi messi in atto nel settore HR, l’importanza della comunicazione interna per favorire il coinvolgimento dei dipendenti e degli investimenti in employer branding e in diversity and inclusion
Le imprese stanno prendendo sempre più coscienza dell’importanza strategica del settore delle risorse umane nel conseguimento degli obiettivi aziendali. Investire e puntare sul capitale umano sono, infatti, scelte che si traducono in un importante vantaggio competitivo e che favoriscono il successo e lo sviluppo.
Una di queste imprese è RGI Group, società leader mondiale nel campo della digitalizzazione delle imprese assicurative, che sta operando importanti investimenti nel settore HR.
Abbiamo intervistato Andrea Marchesini, Head of Group HR Strategy della società per conoscere meglio la loro strategia e i programmi messi in atto nel settore.
RGI Group ha deciso di prestare particolare attenzione al settore delle risorse umane, in particolare state lavorando attraverso un programma di comunicazione interna per favorire il coinvolgimento dei dipendenti e la condivisione dei valori aziendali. Ci può parlare meglio di questa iniziativa e dei benefici che si ottengono?
IT’s RGI è un’iniziativa che abbiamo avviato per dare visibilità interna ed esterna alle nostre persone su tutte le nostre sedi in Europa e renderli testimonial sia dei nostri punti di forza, sia dei nostri valori aziendali, che sono Passione, Innovazione, Lavoro di squadra e Sostenibilità.
L’obiettivo è quello di valorizzare i talenti esistenti all’interno della nostra realtà e attrarne altri, mostrando loro gli aspetti più positivi del nostro Gruppo, così come vengono percepiti dai nostri RGI People.
Da questo punto di vista uno degli aspetti più apprezzati della nostra realtà è la possibilità di sviluppo professionale: siamo un Gruppo in crescita e chi entra in RGI sa di trovare un luogo di lavoro con ampie opportunità per la propria carriera, per imparare grazie alla formazione continua, per trovare un equilibrio tra la propria vita personale e quella professionale, anche nel caso di studenti lavoratori.
Un altro degli aspetti più apprezzati è il fatto che i nostri uffici siano territorialmente vicini alle persone e alla loro vita quotidiana, pur consentendo di lavorare in un Gruppo internazionale, dove si interagisce e si collabora con molte altre nazionalità. Questo è un elemento differenziante per la nostra azienda perché ci permette di crescere anche a livello personale, sperimentando quotidianamente le nostre molte diversità.
Da parte delle aziende c’è sempre più interesse a investire in diversity and inclusion e anche su questo aspetto la vostra azienda sta lavorando molto. Quali sono le iniziative che avete messo in campo?
L’inclusione per noi ha molte facce: i nostri 1.200 RGI People sono molto diversi tra di loro non solo in termini di nazionalità, ma anche per interessi, modo di lavorare, background culturale, senza dimenticare l’età e il genere.
In RGI abbiamo infatti più di 25 nazionalità, 4 generazioni e circa il 30% di donne, cosa non comune in un settore come il nostro, quello tecnologico assicurativo.
In Italia RGI ha un Inclusion Impact Index, cioè un indicatore di inclusione, sviluppato dall’associazione di imprese Valore D con il supporto del Politecnico di Milano, pari a 73.7/100 per il 2020, nettamente superiore sia alla media nazionale, sia alla media delle aziende del settore IT e del settore assicurativo/bancario.
Ora il nostro impegno è quello di usare l’Inclusion Impact Index come un punto di partenza, per migliorare ulteriormente il nostro posizionamento in futuro in fatto di tutela, valorizzazione e sviluppo delle professionalità femminili e non solo.
Investire nell’employer branding permette di rafforzare la capacità di attrarre talenti. Quanto reputate importante puntare su questo aspetto?
La capacità di attrarre talenti per noi è essenziale, ma ancora più importante è il fatto di trovare, o meglio ancora creare, le giuste skill e competenze che ci aiutano a rimanere competitivi come azienda.
Nei nuovi ruoli emergenti, come gli ingegneri FinTech nei servizi finanziari, gli esperti di cloud computing, di dati e Intelligenza artificiale, lo skill shortage è ancora più importante e mette a rischio la crescita delle aziende quindi, oltre alla capacità di attrarre talenti, io penso che sia necessario soprattutto offrire opportunità di re-skilling e aggiornamento ai dipendenti attuali e futuri.
In RGI investiamo quindi sulla collaborazione con scuole superiori, università, istituzioni pubbliche e associazioni di formazione, con cui lavoriamo per colmare il divario esistente tra istruzione e mondo del lavoro. Ad esempio abbiamo attivato dei percorsi di orientamento professionale per gli istituti tecnici insieme ad ELIS, realtà no profit che forma al lavoro giovani e persone in difficoltà, e lo scorso febbraio è partito anche il Master in Smart Product 4.0, per il quale siamo partner del Politecnico di Torino. Inoltre, in passato abbiamo fatto una scelta strategica: quella di creare un nostro dipartimento interno, la RGI Academy, che offre formazione e percorsi di sviluppo coerenti con il nostro business.
Con la pandemia da coronavirus avrete sicuramente dovuto affrontare scenari inediti. Come è stato affrontare questo periodo? Come sono cambiate le esigenze e il modo di lavorare dei dipendenti e di conseguenza il vostro lavoro? E quali saranno a suo giudizio gli scenari post pandemici che ci troveremo, si spera presto, ad affrontare?
La pandemia ci ha costretto a cambiare le nostre abitudini lavorative, forzandoci ad utilizzare nuovi strumenti tecnologici per comunicare mentre eravamo chiusi in casa. Noi stessi, che già avevamo introdotto 2 giorni al mese di smart working pre-pandemia, ci siamo trovati a lavorare da remoto al 100% da un giorno all’altro.
Non ci siamo lasciati scoraggiare e abbiamo ripensato il nostro modo di comunicare e di lavorare, rafforzando la relazione tra azienda e persone per aiutarle a gestire le difficoltà del momento e a passare alla fase successiva: quella del rientro in ufficio.
Per noi sarà un rientro graduale con l’obiettivo di arrivare ad un nuovo modello di lavoro ibrido, che alterni l’ufficio al lavoro da casa. Questo modello risponderà soprattutto alle esigenze emerse da un sondaggio interno, in cui la maggior parte delle nostre persone ha espresso il desiderio di continuare a lavorare da remoto, almeno parzialmente. La nostra sfida è quindi quella di disegnare questo nuovo modello ibrido, che, se da una parte ci richiederà di investire sugli strumenti tecnologici e di collaborazione già presenti e di riprogettare le nostre sedi per adattarle alle nuove esigenze, dall’altra ci permetterà di ottenere il meglio sia in termini di produttività che di benessere delle persone.