Nella ricerca “HP Work Relationship Index”, la multinazionale statunitense ricostruisce il tipo di rapporto esistente tra le persone e il loro lavoro. Ciò che emerge preoccupa, perché solo il 27% avrebbe una relazione sana.
Stanco di portare a termine i propri incarichi, il 48% dei lavoratori fatica a trovare la forza per dedicarsi ad altre attività personali.
Nello studio “HP Work Relationship Index”, la società informatica statunitense ha esaminato il rapporto esistente le persone e il loro lavoro. Il campione, formato da oltre 15.600 lavoratori intellettuali in 12 paesi, tiene conto di diversi aspetti, che vanno dalle competenze agli spazi e agli strumenti messi a disposizione. A differenza di quanto si possa pensare, ciò che emerge è che nei Paesi emergenti la percentuale di soddisfazione è più alta rispetto a quelli più avanzati. In Giappone, ad esempio, la percentuale è del 5%, mentre in India è del 50%.
Quali sono le conseguenze di un rapporto di lavoro malsano?
Stando ai dati, ad avere un approccio sano al lavoro sarebbe solo il 27% dei dipendenti, incidendo negativamente sia sul loro benessere sia su quello delle aziende.
Vivere tutti i giorni un rapporto malsano con il proprio lavoro può avere gravi ripercussioni sulla salute fisica e mentale dei professionisti. Può causare stress, un’alimentazione poco salutare e disturbi notturni. L’83% di loro, pur di vivere più serenamente, sarebbe quindi disposto a guadagnare di meno, lavorando meno ore e meglio, ma per una maggiore soddisfazione lavorativa.
I sei fattori determinanti per un lavoro sano
Dopo aver analizzato più di 50 aspetti, HP ha messo in evidenza sei aree critiche, che riguardano nello specifico:
- la realizzazione
- la leadership
- le esigenze dei lavoratori
- le competenze tecniche
- la tecnologia
- l’ambiente di lavoro
Per sentirsi realizzati, i dipendenti vorrebbero sentirsi più legati al proprio lavoro, ma ad esserlo sarebbe solo il 29%. Più apertura mentale e maggiore sensibilità alle esigenze del personale è invece il secondo elemento considerato dallo studio. La leadership dovrebbe cambiare per il 68% dei dirigenti, ma solo il 21% dei professionisti lo riscontrerebbe nella realtà dei fatti. A concordare su questa necessità sarebbero i leader brasiliani (79%), indiani (79%) e indonesiani (77%). D’altra parte, i lavoratori non sono più disposti a sacrificare la propria vita personale in nome di quella professionale. Pur di vivere in maniera più libera, sarebbero infatti disposti a guadagnare meno (70%), scegliendo dove lavorare (72%) e quando (73%).
Un elemento fondamentale è costituito inoltre dalle competenze tecniche, di cui solo il 31% sarebbe consapevole. Perché possa esserci un cambio di rotta, le aziende dovrebbero quindi investire in misura maggiore sulla formazione e sul supporto dei propri dipendenti. Lo stesso discorso andrebbe fatto anche per la tecnologia e sui relativi strumenti che il datore di lavoro mette a disposizione. Solo il 23% dei dipendenti ritiene che l’azienda abbia fornito loro tutta la strumentazione idonea. Ultimo, ma non per importanza, è l’ambiente di lavoro, che dovrebbe essere flessibile, facilitando l’equilibrio tra vita privata e professionale. Secondo il report, in Francia e in Germania i dirigenti sono meno propensi a rendere più agevole il lavoro da casa, nonostante costituisca un aspetto importante per i dipendenti, in grado di conciliare meglio lavoro e casa.