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E-sport, Ggilbe: “Vi spiego quali soft skill deve avere un pro-player”

Nati negli anni Novanta, gli eSport dal 2010 sono diventati sempre più popolari tanto che oggi, giocatori professionisti competono l’uno contro l’altro, esattamente come avviene in altri campionati sportivi. Gli atleti di eSport arrivano a guadagnare cifre molto alte, grazie a sponsor e spettatori che pagano per vederli giocare. Sarà una delle professioni del futuro? Ne abbiamo parlato con il pro-player Ggilbe.

E-sport, quando essere un e-gamer diventa una professione

Il settore degli eSport è in rapida crescita, basti pensare che la primissima competizione basata su un videogioco di cui si ha notizia risale al 19 ottobre 1972 e si tenne all’Università di Stanford, in California, quando gli studenti parteciparono alle “Olimpiadi Intergalattiche di “Spacewar”.

Si pensi che il primo in quell’occasione fu un abbonamento annuale alla rivista Rolling Stone, non proprio come i premi milionari degli eSport moderni.

A partire dagli anni 2000 gli eSport hanno goduto di un successo esponenziale, sia in termini di giocatori, che di spettatori, tanto che se nel 2000 i tornei mondiali erano circa 10, nel 2010 sono passati a 260.

Oggi muovono un giro d’affari impressionante: ben 1.080,30 mld di dollari nel mondo nel 2021.

Ma fare il e-gamer professionista non è certo facile. Abbiamo chiesto al pro player Ggilbe* del team LXT di raccontarci quali skill servono per diventare un campione.

Sei riuscito a fare di una passione la tua professione, come hai iniziato e come sei diventato un gamer professionista?

Come tanti bambini ho iniziato a giocare a FIFA, poi più giocavo più prendevo consapevolezza delle mie abilità e predisposizione a questa tipologia di attività.

Ho cominciato quindi a partecipare ai tornei poi nel 2021 sono arrivato 57º in Europa a poche posizioni dai playoff, da quel momento ho capito che avevo delle ottime potenzialità, quindi sono diventato un professionista e la passione si è trasformata in un lavoro.

Quali sono le soft skill che un e-player deve avere e come vengono allenate negli e-sport?

Ti ringrazio per la domanda perché mi dai l’opportunità di far comprendere che questo fenomeno non è solo un gioco, ma ogni player non solo  professionista attraverso il gaming ha la possibilità di mettere in risalto una serie di soft skill come quella della capacità di negoziazione, lavoro in team, gestione dello stress, resilienza, capacità di concentrazione, sono  tutte caratteristiche più che “allenate” nel e-gaming. 

Tutto questo però è importante riuscire ad applicarlo in un life balance che ti debba permettere di dedicare il giusto tempo al lavoro, ma anche allo svago per evitare di entrare in rischio ludopatia. Come tutte le professioni anche quella del pro-player richiede  il giusto equilibrio.

Nel mio caso specifico in un gioco come FIFA il rischio di perdere la concentrazione è molto alto ed una minima disattenzione ti può costare il risultato della partita. Inoltre da  quando l’anno scorso hanno aggiunto la modalità 2v2  la capacità di fare gioco di squadra è diventata una soft skill fondamentale in quanto devi trovare l’armonia con il tuo compagno che fisicamente è a distanza.

Per allenare tutte queste competenze bisogna allenarsi tanto come in qualsiasi altra disciplina sportiva, questo è un messaggio che voglio lanciare, soprattutto per chi è agli inizi, non è solo un gioco , il professionismo è dedizione e sacrificio come qualsiasi altra professione.

Il mondo virtuale offre grandi opportunità ma è anche un luogo pericoloso, cosa consigli ai tuoi coetanei per evitare di cadere nella trappola dei cyber-crime e della ludopatia?

Bisogna partire dall’educazione digitale come la creazione di un approccio sostenibile agli strumenti tecnologici utilizzati, ai videogame, alle consolle di gioco, un percorso volto a sensibilizzare il pro player, il gamer per diletto, il minore, e far comprendere loro la differenza tra un utilizzo corretto e l’esagerazione.

È ovvio che il pro player ha sicuramente necessità differenti dal “casual” gamer poiché deve eseguire sessioni di allenamento specifiche, mirate, e anche piuttosto lunghe.

Tuttavia, è necessario comprendere come un utilizzo esagerato del videogame, un allenamento esagerato può portare a conseguenze negative anche dal punto di vista della salute.

Da un recente studio condotto da un’università americana, il rischio per i gamer di soffrire, tra i 25 e 35 anni, di artrite e altre patologie agli arti superiori è superiore all’80%. Per non parlare di altre patologie dovute alla postura (scoliosi, piedipiatti, torcicollo). Ma questo problema non riguarda solo i player. Infatti, il 60% circa dei bambini italiani, tra i 7 e gli 11 anni possiede un cellulare.

La maggior parte dei bambini e dei ragazzi fino a 14 anni trascorrono diverse ore al giorno davanti al computer, ma anche scrivendo messaggi SMS con i loro cellulari o a giocare alla playstation e videogiochi. Il 50% dei ragazzi italiani gioca infatti ai videogame almeno una volta al giorno, di cui più del 20 % per almeno due ore.

Appare evidente, dinanzi a questi dati l’importanza di una sensibilizzazione volta a far comprendere un utilizzo consapevole e controllato dei videogiochi. Ma questo, legato alla salute, non è l’unico tema che l’educazione digitale deve necessariamente comprendere, poiché qualsiasi tipologia di gamer deve essere tutelato anche dai cosiddetti cyber-crime, i reati commessi attraverso l’utilizzo di sistemi informatici.

È naturale che, soprattutto per chi vuole approcciare al mondo eSports in qualità di pro player, è bene avviare un percorso parallelo a quello sportivo sull’utilizzo sicuro della rete in giovane età perché il mondo digitale legato ai videogame è un spazio infinito, senza confini, cui partecipano soprattutto minori.

Sebbene infatti il gioco online possa offrire interazioni sociali di qualità, le chat, le giocate live, l’interazione facilitata e la modalità collaborativa dei giochi, fanno si che si possa entrare in contatto, anche troppo facilmente, con persone di cui non si conosce l’identità e soprattutto le intenzioni.

Il cyberbullismo può rappresentare il tipo più dannoso di attacco online, dato che sfrutta le insicurezze personali e le vulnerabilità delle vittime per causare loro umiliazioni e danni psicologici, mentre i responsabili si nascondono dietro avatar virtuali.

Sei recentemente entrato nel team LXT, cosa hai trovato in questa squadra che non avevi trovato prima?

Sono entrato nel team LXT perché cosa era un team nuovo e questo mi affascinava il progetto che proponevano , quindi sarebbe stata una nuova avventura ed un percorso di crescita reciproco.

L’obiettivo del  Team LXT Esports non è infatti solo quello di competere ma di mettere a disposizione del mercato le competenze legali e fiscali di Lexant e, tramite il centro di formazione Academy ASK, raggiungere le nuove generazioni con eventi, workshop e contenuti multimediali  per avvicinarli al mondo del lavoro e valorizzare le  loro  competenze ed abilità.

Mi hanno proposto ed ho sottoscritto un codice etico dove mi impegno a passare i messaggi ai giovani dei rischi che si possono trovare in questo mondo ed attraverso la formazione come evitarli.

Questo  progetto presentava subito delle basi solide, cosa molto difficile  se non impossibile da trovare nei nuovi team e direi unico tra quelli già esistenti. Questo mi ha portato a far parte della famiglia LXT.

Quali suggerimenti ti senti di dare a chi desidera iniziare una carriera negli eSport?

Il mio suggerimento è quello di non abbandonare gli studi per dedicarsi solo ad essere un pro-player , ma di proseguire con entrambi  con entrambi i percorsi.

Ma il suggerimento più importante è quello di farsi seguire sempre da qualcuno per quanto riguarda le fasi contrattuali, perché purtroppo si trovano ancora team non corretti che approfittano di una regolamentazione contrattuale non ancora totalmente definita.

*Chi è Ggilbe? Il suo “vero” nome è Alessandro Lamberti, ha 21 anni, vive a Milano e studia Giurisprudenza. Player professionista di FIFA, ha iniziato a competere nel 2020, quando è arrivato 57° in Europa e per poche posizioni non è andato ai payoff, sia due anni fa sia l’anno scorso è arrivato in top 8 all’enazionale per vestire la maglia azzurra.

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