Ridurre il gender gap e rendere più trasparente la retribuzione. La lotta contro la disparità di genere continua grazie alle nuove politiche messe in atto per contrastare il fenomeno.
Il Global Gender Gap Report 2022 analizza il divario di genere esistente tra uomini e donne, nonché le politiche messe in atto da 146 Paesi per raggiungere la parità. In base ai risultati, occorreranno ancora 132 anni perché questa disparità venga colmata. Le stime, sebbene siano in miglioramento di quattro anni rispetto a quelle riportate nel 2021, hanno subito una perdita generazionale tra il 2020 e il 2021. Tra le cause sono da annoverare la pandemia, la crisi, nonché i cambiamenti climatici che, oltre allo stallo, stanno portando ad una pericolosa inversione di tendenza.
Finora solo l’Islanda è riuscita a colmare più del 90% del gender gap. Seguono Finlandia con l’86%, Norvegia con 84,5% e Svezia con 82,2%. Tra i primi dieci Paesi rientrano anche Ruanda, Namibia, Nicaragua e Nuova Zelanda, che fanno slittare fuori dalla classifica Lituania e Svizzera.
Negli ultimi decenni il numero di lavoratrici e di donne con posizioni di leadership è aumentato. Ciononostante continuano a persistere numerosi ostacoli nelle opportunità di crescita e di carriera delle donne, da contrastare con azioni collettive e coordinate.
In Italia, i dati Istat aggiornati a febbraio 2022 mostrano che la retribuzione oraria per le donne è pari a 15,2 euro e a 16,2 euro per gli uomini. Tuttavia, il gap aumenta se si considerano dirigenti (27,3%), laureati (18%) e disoccupati, 99 mila dei quali sarebbero donne.
Il gender pay gap cresce con l’aumentare della dimensione delle imprese, ma si riduce drasticamente in quelle con più di 1.000 addetti. Tra i diversi settori, questa discrepanza risulta più evidente nelle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (59,7%), così come nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (25,3%). Diminuisce per i servizi di alloggio e ristorazione (7,3%), e si annulla quasi o del tutto nel settore estrattivo e minerario (0,9%).
Quali misure si stanno adottando?
A livello europeo, il 4 marzo 2021 la Commissione ha presentato la proposta di direttiva con misure vincolanti per la trasparenza retributiva. Lo scorso dicembre, il Consiglio e il Parlamento hanno raggiunto un accordo provvisorio, con cui sarà possibile perseguire il principio di parità di retribuzione. Una volta che verrà dato l’ok formale, le imprese saranno obbligate a divulgare le informazioni per confrontare in modo agevole i salari di chi lavora per uno stesso datore di lavoro.
Per eliminare ogni tipo di discriminazione, occorrerà avere a disposizione dati oggettivi e neutri. Se dalla rendicontazione salariale effettuata risulterà un divario retributivo di almeno il 5%, i datori di lavoro dovranno condurre una valutazione congiunta in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori. Sarà bandita ogni forma di segreto salariale, e i lavoratori, con i loro rappresentanti, dovranno poter accedere ad informazioni chiare e complete sui livelli retributivi individuali e medi, suddivisi per genere. L’onere della prova non dovrà più spettare al lavoratore ma al datore, e l’eventuale danno dovrà essere risarcito.
Il gender gap in Italia
In Italia a novembre 2021 è stata introdotta la legge sulla parità salariale. Finanziata con 50 milioni di euro lo scorso anno, la norma prevede una serie di interventi volti a sensibilizzare e premiare le azioni volte a contrastare il fenomeno, che nel Paese raggiunge picchi del 44%.
Dal 1° gennaio 2022 è entrata in vigore la certificazione della parità di genere, che attesta le misure adottate in concreto dalle imprese per ridurre il divario quanto a opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansione e politiche di gestione della tutela della maternità. Coloro che risulteranno in possesso della certificazione potranno godere di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali, normalmente a carico del datore di lavoro.
Infine, la norma stabilisce l’obbligo per le aziende pubbliche e private con più di 50 dipendenti di redigere ogni due anni un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile. Le aziende che contano fino a 50 dipendenti potranno invece redigere tale rapporto su base volontaria.