Il gender gap o divario di genere non si traduce soltanto in una differenza fra stipendi di uomini e donne, ma anche in una diversa attenzione alla salute e al costo sostenuto dalle donne per la sanità. Un argomento di cui si parla ancora troppo poco, ma che le aziende più attente al benessere delle proprie persone dovrebbero iniziare a tenere in debita considerazione.
Gender gap? C’è anche nella salute
Secondo i dati del World Economic Forum 2024 il divario di genere nella salute costa all’economia globale fino a 1 trilione di dollari entro il 2040, eppure solo l’1% degli investimenti in healthcare è destinato a soluzioni specifiche per la salute femminile. Numeri che impongono una riflessione. E se si iniziasse a puntare sulla salute femminile?
Ne abbiamo parlato con Valeria Leuti, Founder e Presidente di Tech4Fem, la prima associazione no-profit italiana dedicata al FemTech e all’innovazione nella salute delle donne.
In base a un’indagine The Lancet del 2023, le donne trascorrono il 25% della loro vita in condizioni di salute debilitanti, ma ricevono in media meno trattamenti rispetto agli uomini. Ci stiamo dimenticando della salute femminile?
Possiamo dire che ci dimentichiamo delle donne da sempre, non solo in ambito medico ma anche nella società nel suo complesso. Consiglio a tutte e tutti la lettura del libro “Invisible Women” di Caroline Criado Perez per capire quanto la società e l’intero mondo nel quale viviamo non sia stato progettato includendo le donne.
Nella salute stiamo assistendo ad un lento risveglio da millenni di invisibilità, basti pensare che le donne sono state inserite nei trial clinici solo dagli anni ’90, mentre prima ne erano totalmente escluse sia per la variabilità ormonale (che pregiudica l’andamento dei test, costringendo a tenere in considerazione una variabile di cui si sa pochissimo), sia per motivi sociali e culturali.
Non ci stupisce infatti che più del 60% delle reazioni avverse ai farmaci colpisca le donne, infatti ad oggi la sottorappresentazione femminile nei test sui farmaci è ancora molto presente (si stima una presenza femminile negli studi clinici randomizzati intorno al 20% e solo nelle fasi iniziali della sperimentazione).
A tutto ciò si aggiunge il medical gaslighting, quel meccanismo di sminuizione e invalidazione dei sintomi di una donna (“è tutto nella tua testa”, “è normale”) che porta ad un ritardo diagnostico inaccettabile e ad un vero e proprio trauma psicologico che favorisce nelle donne l’insorgenza di ansia e depressione, oltre che di un allontanamento dalle cure con un aggravio della propria condizione di salute.
Continuiamo a riflettere facendoci aiutare dai dati, secondo una ricerca Deloitte del 2024, il 50% degli oneri sanitari globali ricade su donne in età lavorativa (20-64 anni), con impatti enormi sulla produttività. Salute, lavoro e produttività sono dunque fortemente correlate, ma quanta consapevolezza c’è in merito?
Purtroppo ancora molto poca. Secondo lo studio di Deloitte, solo il 6% delle donne lavora in aziende definite “Gender Equality Leaders”, che offrono culture accoglienti, supporto concreto al work-life balance e soprattutto sicurezza psicologica.
Circa 1 donna su 2 lamenta un peggioramento dello stress legato al lavoro negli ultimi anni, con difficoltà a ricevere supporto per la propria salute mentale e sentimenti di discomfort nel condividere il proprio stato di salute con colleghi e datori di lavoro, molto spesso per paura di impatti negativi sulla propria carriera.
Il grande assente nei modelli organizzativi odierni rimane il lavoro di cura: le aziende non sono progettate per le donne perché non includono il carico del lavoro di cura nei modelli organizzativi, né supportano in alcun modo la sua più equa redistribuzione.
Il 93% delle donne intervistate da Deloitte pensa che richiedere una maggiore flessibilità e supporto al work-life balance impatti negativamente sulla loro carriera (e non si sbagliano).
Così accade che le donne continuino a lavorare in condizioni di salute debilitanti, omettendo di condividere con l’azienda le difficoltà legate al dolore mestruale, alla menopausa, alla fertilità e a tanto altro.
Impossibile non citare inoltre le 2 principali motivazioni di dimissioni delle donne: la maternità e la menopausa.
Sono ancora moltissime le donne che faticano a rientrare a lavoro dopo la maternità e che vedono la loro posizione lavorativa dissolversi nel nulla.
Ogni anno circa 25 milioni di donne entrano in menopausa, con conseguenze spesso molto invalidanti sul loro stato di salute (se non trattata e supportata), proprio nell’età in cui le donne riescono ad arrivare faticosamente a posizioni dirigenziali (sappiamo che la carriera delle donne è più lenta e ostacolata da molti fattori).
Ogni azienda dovrebbe quindi occuparsi di maternità e menopausa, ci sono i numeri che lo dimostrano e esistono gli strumenti per farlo. Ma senza il cambiamento culturale non c’è progresso.
Ne emerge un quadro tutt’altro che inclusivo ed è chiaro che non bastano le “quote rosa” o la certificazione per la parità di genere per ritenersi esenti dal fare qualcosa. Occorre ripensare in modo radicale i modelli organizzativi, favorire flessibilità e smart working e costruire politiche di welfare solide e all’avanguardia, andando al di là dei buoni pasto o dell’abbonamento alla palestra.
La salute femminile potrebbe rientrare nel welfare aziendale offerto dalle imprese alle proprie dipendenti?
Assolutamente sì e ne vediamo già i primi vantaggi concreti tanto per le donne quanto per l’azienda intera, uomini inclusi.
Secondo Deloitte, per ogni dollaro investito in politiche di welfare inclusive che tengono in considerazione la salute femminile, se ne guadagnano 3,5.
Significativa è anche la riduzione dei costi, sia in termini di minore assenteismo che in relazione alla maggiore produttività delle donne in azienda, quando migliora la loro salute.
Ma il vantaggio non riguarda soltanto le donne: molte delle iniziative FemTech che riguardano la salute delle donne hanno un impatto diretto e indiretto anche sugli uomini, perché tutti possono giovare del supporto al lavoro di cura e al work-life balance. Le donne ne pagano il danno maggiore, ma anche gli uomini subiscono le conseguenze di ambienti di lavoro aridi.
È per questo che molte realtà FemTech offrono i loro prodotti e servizi alle aziende, costruendo percorsi di welfare virtuosi e personalizzati, con vantaggi sia sul breve che sul lungo termine.
Gli strumenti e la conoscenza non mancano, manca quel cambiamento culturale aziendale imprescindibile per far partire questa rivoluzione.
Quali interventi o soluzioni potrebbero essere davvero efficaci nel colmare il divario di genere nella sanità?
Per colmare il divario di genere nella sanità non si può prescindere da un approccio multidisciplinare che parta dalla medicina di genere.
Ad oggi purtroppo questa disciplina è relegata ad un dipartimento (spesso di serie B) e nei percorsi di formazione del personale medico-sanitario non è nulla più di un esame.
Basare il nostro sistema sanitario tenendo conto delle differenze di genere dovrebbe essere invece il layer abilitante di qualsiasi tipo di specializzazione, della serie “se vuoi fare medicina e curare le persone, non puoi non conoscerne le differenze di genere”.
Diviene quindi fondamentale ripensare la cultura organizzativa, affidarsi alle tecnologie, ricostruire i percorsi di formazione e specializzazione, oltre a lavorare molto sulle politiche istituzionali.
Per chiudere il divario di genere la prima azione da compiere è la raccolta dati: senza dati disaggregati per genere nessuno studio può ritenersi completo ed efficace.
Costruire dataset corretti e rappresentativi è davvero il primo passo verso la chiusura del gender health gap ed è per questo che con l’associazione Tech4Fem abbiamo deciso di creare l’Osservatorio FemTech: uno strumento di raccolta dati e monitoraggio che ci consentirà di cambiare la narrazione sulla salute delle donne, individuare e correggere i bias di genere e aiutare l’intero settore a crescere.
Infine, quanto è sviluppato il comparto FemTech in Italia e nel mondo?
Questa potrebbe essere una domanda facile a cui rispondere, se non fosse che, ancora una volta, stiamo applicando un modello di misurazione inadeguato a rappresentare il fenomeno.
Nelle varie stime che leggiamo sul volume del settore FemTech nel mondo abbiamo delle differenze enormi proprio perché ad oggi è ancora difficile identificare cosa e chi è FemTech, ma soprattutto partiamo da un parametro di misurazione che include intrinsecamente un bias di genere enorme: il volume di investimenti.
Secondo alcuni studi più dell’80% delle startup FemTech ha almeno una donna tra i founders, ma oltre il 90% degli investimenti va alle startup FemTech fondate da soli uomini.
Come leggere criticamente questo dato? Il mondo degli investimenti è ancora sistematicamente maschile (e a volte maschilista) e pertanto quello che sta accadendo è che nonostante la grande quantità di realtà FemTech fondate da donne che nasce ogni anno, gli investimenti continuano a indirizzarsi solo da uomo a uomo.
Ciò comporta una mappatura del settore totalmente sottorappresentativa del fenomeno, perché le moltissime startup FemTech fondate da donne che non prendono investimenti non compaiono in questi report. Ma non solo esistono, generano fatturati importanti proprio perché sono estremamente valide e utili per le donne, crescendo in modo quasi totalmente organico.
Per dare comunque qualche numero di riferimento, si stima un valore complessivo del settore di 112 miliardi di dollari entro il 2030, con una crescita anno su anno del 12,6%.
Se ripensiamo alle premesse, ci rendiamo conto di quanto questo dato sia sottostimato.
Per questo come Tech4Fem abbiamo deciso di aderire alla community Femtech Across Borders che riunisce tutte le organizzazioni FemTech nel mondo. Un network bellissimo che rappresenta un grande potenziale di crescita per il settore, occupandosi di mappare le realtà FemTech nel proprio paese, di fornire strumenti e contatti e soprattutto di coordinarsi con le altre organizzazioni per costruire narrazioni e modelli di misurazione davvero rappresentativi.
In Italia non abbiamo ancora una mappatura chiara del fenomeno ed è la mission più importante di Tech4Fem con il suo Osservatorio FemTech. Racconteremo in anteprima i risultati dell’indagine in corso il 7 maggio 2025 all’evento Tech4Fem Advance presso la Casa delle Tecnologie Emergenti a Roma, in occasione della manifestazione Sanidays. Il report completo verrà invece presentato a settembre. Ad oggi abbiamo mappato circa 80 realtà FemTech in Italia e sarà interessante capirne la composizione, il segmento FemTech in cui operano e il loro rapporto con gli investimenti, l’accesso al credito e la censura. Ne vedremo delle belle.