In Italia, il 41% delle persone che ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi si è pentito della scelta che ha fatto. È il fenomeno denominato “Great Regret” che nel nostro Paese caratterizza in particolare gli uomini e gli over 50.
Great Regret: il 41% dei dimissionari si è pentito
La “Great Regret”, così è stata ribattezzata negli Stati Uniti, è un fenomeno che riguarda i lavoratori che hanno cambiato occupazione e poi se ne sono pentiti. In Italia, si tratta del 41% dei dimissionari, in prevalenza uomini e persone con più di 50 anni di età.
Sono i dati emersi dall’ultimo “Osservatorio HR Innovation Practice” della School of Management del Politecnico di Milano.
Negli ultimi tre anni abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nel panorama lavorativo, caratterizzata in parte dalla “Great Resignation”, ossia il fenomeno delle “grandi dimissioni”. Solo in Italia, nel corso del 2022, il 46% dei lavoratori ha dichiarato di aver cambiato lavoro o di volerlo fare nel breve periodo. Una percentuale che raggiunge il 77% per i giovani under 27.
La principale motivazione per cui le persone si sono licenziate o hanno deciso di licenziarsi è legata alla possibilità di trovare migliori offerte economiche e possibilità di carriera. Al secondo posto c’è il desiderio di poter decidere il proprio orario lavorativo. Al terzo posto, invece, si trova il malessere psico-fisico dovuto alla condizione di lavoro attuale.
In merito a quest’ultimo aspetto, si evidenzia che soltanto il 7% dei lavoratori (pari a circa 1,3 milioni) dichiara di essere felice. E solo l’11% sta bene su tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo, psicologica, relazionale e fisica. Più in generale, la maggior parte dei lavoratori è in cerca di un miglioramente nel rapporto tra vita lavorativa e vita privata.
C’è chi lavora troppo e chi fa il minimo indispensabile
Dal report del Politecnico di Milano sono emersi altri interessanti aspetti che riguardano la sfera lavorativa.
Uno di questi comprende i cosiddetti Quiet Quitter, ossia i dipendenti che si sentono poco valorizzati in azienda e si limitano a fare il minimo indispensabile. Questa categoria di lavoratori rappresenta il 12% del campione indagato, pari a circa 2,3 milioni.
Viceversa, c’è chi non riesce a smettere di lavorare, anche nei momenti in cui si dovrebbe dedicare alla vita privata. Si tratta dei cosiddetti Job Creeper e rappresentano il 6% del totale, circa 1,1 milioni di lavoratori.
Ma i problemi non si esauriscono qui e coinvolgono anche le aziende che, dopo la pandemia, hanno ripreso a correre. Oltre la metà delle imprese coinvolte nello studio prevede di assumere nuovo personale nel 2023. Tuttavia, il 94% ha difficoltà a trovare candidati qualificati e in linea con le proprie aspettative. Una difficoltà che riguarda in primis le professionalità digitali, ben una su quattro.
Nello specifico, le figure più ricercate sono quelle specializzate in Big Data & Analytics, Intelligenza Artificiale e Cyber Security. Ma non solo: mancano anche molti profili tecnici, operai, turnisti e manutentori.