Osservando il fenomeno della Great Resignation, circa la metà degli occupati cambia lavoro per maggiori vantaggi economici. Ma c’è chi lo fa per inseguire le proprie passioni o senza un’altra offerta lavorativa
In un periodo di grande incertezza economica, le aziende stanno facendo i conti anche con un’altra questione, che riguarda le risorse umane, la Great Resignation. Tradotto “grandi dimissioni”, il fenomeno della Great Resignation è diffuso a livello mondiale e coinvolge anche l’Italia. Secondo l’“Osservatorio HR Innovation Practice” della School of Management del Politecnico di Milano, il 45% dei lavoratori italiani ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi. Si tratta per lo più di giovani compresi tra i 18 e i 30 anni, appartenenti ai settori ICT, Servizi e Finance.
Dallo studio è emerso che il 46% delle persone che ha cambiato lavoro lo ha fatto per dei vantaggi economici; il 35% per maggiori opportunità di carriera; il 24% per una maggiore salute fisica o mentale; il 18% per una maggiore flessibilità d’orario o per inseguire le proprie passioni. Inoltre, quattro lavoratori su dieci hanno lasciato il posto di lavoro senza un’altra offerta, indice del malcontento vissuto in azienda. Prendendo in considerazione le tre dimensioni del benessere lavorativo (fisica, sociale e psicologica), è emerso, infatti, che solo il 9% dei lavoratori dichiara di stare bene sotto tutti e tre gli aspetti. Il 40% dei lavoratori ha avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno dovuta a malessere emotivo. Il 55% ha dichiarato di avere delle difficoltà a dormire e solo il 17% delle persone si sente incluso e valorizzato in azienda.
Alla Great Resignation si aggiunge, infine, il problema della riqualificazione professionale dei lavoratori, alla luce dei cambiamenti che hanno caratterizzato questi ultimi anni. Allo stato attuale, infatti, vi è una grande richiesta alla quale, tuttavia, fa eco una grande scarsità di offerta, soprattutto in ambito digitale. Nell’arco di uno o due anni, il 9% dei dipendenti dovrà essere riallocato perché non ha le competenze adeguate a svolgere il proprio lavoro. Per oltre un’azienda su dieci la percentuale supera il 15%. Tuttavia, né aziende, né lavoratori vivono questo problema o stanno facendo qualcosa per risolverlo. Meno del 30% delle aziende affronta la questione in modo strategico, mentre il 74% dei lavoratori non pensa che rimarrà inoccupato per via di questi cambiamenti.