Uno studio di Littler ha evidenziato come sta cambiando il lavoro con la pandemia: le priorità aziendali sono smart working e benessere dei dipendenti
La pandemia ha sconvolto il mondo del lavoro, mettendo in discussione strategie e priorità delle aziende europee. Nello specifico, le imprese stanno volgendo maggiore attenzione verso il benessere dei propri dipendenti e confermano lo smart working come modello operativo del fututo. È quanto emerso da una recente indagine di Littler, condotta su un campione di oltre 750 responsabili HR. Lo studio ha analizzato l’impatto della pandemia sul mondo del lavoro e sul comparto delle risorse umane.
Se prima del covid, lo smart working era visto con diffidenza dai datori di lavoro, ad oggi il 41% degli HR manager ha affermato che sta adeguando le policy aziendali per consentire una maggiore flessibilità ai lavoratori. L’80% del campione ha dichiarato di aver chiesto a un numero crescente di dipendenti di lavorare da remoto. Anche il benessere psico-fisico dei dipendenti è diventato una delle principali priorità per le aziende europee. Il 57% degli intervistati ha offerto orari più flessibili ai propri lavoratori, mentre il 51% ha sollecitato un feedback frequente sulla risposta della propria azienda alla pandemia.
Lo studio ha affrontato anche temi più critici e spinosi, quali la gestione delle ferie e la riduzione del personale. In merito al primo aspetto, il 34% dei responsabili HR ha registrato un aumento delle richieste con problemi operativi per l’82% di essi. In questo senso l’avvicinarsi della fine dell’anno non aiuta di certo, considerando la necessità per i lavoratori di recuperare le ferie non godute. Dal punto di vista della riduzione del personale invece il 59% delle aziende prevede di licenziare parte della propria forza lavoro una volta giunte al termine le misure governative emergenziali. Solo il 17% degli intervistati crede di poter mantenere il personale attuale senza gli aiuti governativi. La maggior parte degli intervistati è convinta che i licenziamenti avvengano nell’immediato. Il 10% invece afferma di essere disposto ad attendere un arco temporale di tre o più mesi.