Secondo la Cassazione chi rimuove, manipola o trasferisce dei dati dal pc aziendale commette reato, punibile con il licenziamento per giusta causa
Dati e informazioni rappresentano il patrimonio di un’azienda, per questo motivo preservarlo e proteggerlo è un suo diritto. Di recente, la Corte di Cassazione si è espressa in materia, sottolineando che l’appropriazione di dati e informazioni riservate dal pc aziendale è un reato, sanzionabile anche con licenziamento per giusta causa. Il caso in esame riguarda l’ex direttore commerciale di un’azienda. Dopo essersi licenziato, com’è normale che sia, ha restituito il pc in dotazione al datore di lavoro.
Tuttavia, grazie a dei controlli interni, l’azienda ha scoperto che, prima di andarsene, l’ex dipendente aveva rimosso e asportato alcune informazioni dal pc aziendale (e-mail, numeri di telefono, informazioni su prodotti e metodi di produzione). Il datore di lavoro è venuto a conoscenza del misfatto tramite dei messaggi privati che l’ex manager aveva inviato a soggetti terzi.
L’azienda si è rivolta, quindi, al Tribunale, sottoponendo ai giudici come prova i messaggi rinvenuti durante i controlli e presentando domanda di risarcimento danni. La Corte d’Appello, però, ha rigettato la richiesta, in quanto le prove raccolte non erano utilizzabili in sede di giudizio. Secondo i giudici, le modalità di raccolta e trattamento violavano il diritto alla riservatezza e alla segretezza della corrispondenza. L’azienda ha perciò presentato ricorso alla Cassazione che, in via definitiva, le ha dato ragione.
Con la sentenza n. 33809/2021, la Corte Suprema ha confermato che “il lavoratore che cancella dati contenuti nei dispositivi aziendali lede il patrimonio aziendale e commette illecito civile, a cui consegue il diritto del datore di lavoro al risarcimento dei danni”. Gli ermellini hanno aggiunto, inoltre, che tale illecito, considerata la sua gravità, giustifica anche il licenziamento per giusta causa. Infine, in materia di privacy, la Cassazione ha sottolineato che, nel caso di specie, ossia per controlli difensivi volti a tutelare il patrimonio aziendale, le modalità in cui i dati sono stati raccolti e trattati non implicano alcuna violazione della privacy.