Il termine “demansionamento” indica l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori rispetto al proprio livello di inquadramento contrattuale.
La legge pone precisi limiti al potere del datore di lavoro di variare le mansioni dei propri dipendenti, infatti l’articolo 2103 del codice civile prevede che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito) ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
In questo articolo, analizzeremo i casi in cui il demansionamento è considerato legittimo e le condizioni che devono essere soddisfatte per garantire il rispetto delle leggi e dei diritti dei lavoratori.
Mutamento delle esigenze aziendali
Una delle situazioni in cui il demansionamento può essere considerato legittimo è quando l’azienda attraversa un processo di riorganizzazione, ristrutturazione o ridimensionamento. In questi casi, il datore di lavoro può essere costretto a modificare la struttura organizzativa dell’azienda e, di conseguenza, il ruolo dei propri dipendenti.
Tuttavia, affinché il demansionamento sia legittimo, il datore di lavoro deve dimostrare che le modifiche sono state effettuate per ragioni obiettive e che non vi sono alternative per il mantenimento del lavoratore nella posizione originaria.
Il lavoratore potrà quindi essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore (un solo livello, non oltre) purché rientranti nella medesima categoria legale (quindi, ad esempio, l’impiegato potrà essere adibito a mansioni rientranti nel livello inferiore, ma pur sempre mansioni impiegatizie e non operaie) conservando però il livello e la retribuzione iniziale, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Accordi individuali o collettivi
Il demansionamento può essere legittimo se il lavoratore acconsente volontariamente al cambiamento delle sue mansioni, per esempio per ragioni personali o familiari. In questi casi, il dipendente e il datore di lavoro possono stipulare un accordo, in sede protetta, che stabilisca i termini del demansionamento e le condizioni future di lavoro ivi compreso la modifica della categoria legale, del livello e della retribuzione.
Anche i contratti collettivi possono prevedere e normare il demansionamento in determinate circostanze.
Mancanza di lavoro e salvaguardia dell’occupazione
In situazioni eccezionali, in cui l’azienda si trova in gravi difficoltà economiche e il mantenimento del lavoratore nella posizione originaria comporterebbe il rischio di un licenziamento, il demansionamento può essere considerato legittimo come misura di salvaguardia dell’occupazione.
Limitazioni temporanee o permanenti per motivi di salute
In caso di limitazioni temporanee o permanenti per motivi di salute, il demansionamento può essere considerato legittimo se, dopo aver esaurito tutte le opzioni di adattamento del posto di lavoro e di reinserimento del lavoratore in posizioni equivalenti, il lavoratore non è più in grado di svolgere le sue mansioni originarie.
Lo stesso testo unico sulla maternità e paternità (D.Lgs 151/01) all’articolo 7 prevede che la lavoratrice possa essere demansionata, pur conservando la retribuzione, nel caso in cui il mutamento di mansioni si renda necessario per le condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna.