Le sfide del presente e del futuro, come quelle legate alla sostenibilità, possono essere affrontate meglio da una leadership femminile. Di questo e tanto altro abbiamo parlato con Chiara Galgani e Valeria Santoro, autrici del libro “Leadership femminile. Esiste davvero?”
In un periodo storico in cui il presidente del Consiglio è donna, a capo dell’opposizione c’è una donna e alla guida di Terna è stata nominata una donna, sembra una questione superata, eppure il famoso soffitto di cristallo continua a esistere e resistere.
A dirlo sono i numeri. Se è vero che mai come oggi ci sono così tante italiane nei board delle società, è altrettanto vero che sono ancora poche quelle che raggiungono ruoli apicali. A fine 2021, infatti, secondo il rapporto Consob sulla Corporate Governance, il 41% degli incarichi di amministrazione nelle società quotate era esercitato da una donna. Numeri che però scendono drasticamente quando si guarda ai ruoli di vertice: solo un 2% dei Ceo delle società quotate è donna e solo il 4% presidente.
E ancora, l’occupazione femminile viaggia intorno al 51%, posizionando l’Italia in coda agli altri paesi europei. Eppure, secondo alcune analisi, con un’occupazione femminile intorno al 60% il Pil italiano registrerebbe una crescita di 7 punti percentuali. Un balzo non da poco, no?
In questo contesto si inserisce l’uscita del volume “LEADERSHIP FEMMINILE. ESISTE DAVVERO? Storie di donne imprenditrici e manager che hanno rotto il soffitto di cristallo” (FrancoAngeli) di Chiara Galgani, che lavora da oltre 20 anni nell’ambito della comunicazione ed è docente di relazioni media e comunicazione finanziaria all’Università Tor Vergata di Roma, e di Valeria Santoro, giornalista professionista che lavora a MF Dow Jones, l’agenzia di Class Editori dove da 20 anni si occupa di banche, assicurazioni e dei principali temi di politica economica.
Ed è con le due autrici che abbiamo voluto capire quali sono le caratteristiche della leadership femminile e quali ostacoli incontrano le donne nel raggiungere il potere.
Affrontando la tematica delle donne ai vertici, è facile cadere nei luoghi comuni e nella retorica. Non accade però in questo libro. Ci siete riuscite grazie alla struttura del volume che alterna il racconto di percorsi di successo all’analisi dei dati?
Sì, quando abbiamo deciso di scrivere questo libro abbiamo optato per dare spazio da un lato ai numeri, e quindi a tutti i dati relativi alla presenza femminile nel mondo del lavoro e ai vertici aziendali, con una scrittura molto asciutta per raccontare il quadro in cui ci troviamo.
Dall’altro lato abbiamo inserito le storie di dieci manager e imprenditrici di successo, fra le quali Pina Amarelli, Presidente di Amarelli e di Banca Regionale di Sviluppo; Albiera Antinori, Presidente Marchesi Antinori; Patrizia Grieco, presidente Anima Sgr e Assonime; Elena Goitini, Ceo Bnl Bnp Paribas e Responsabile Gruppo Bnp Paribas in Italia; Mara Panajia, Presidente e Ad di Henkel Italia; Silvia Candiani, Country General Manager Microsoft Italia; Cristina Scocchia, Amministratrice Delegata di Illy Caffè; Antonella Mansi, Industriale, Presidente del Centro di Firenze della Moda Italiana, Presidente UniCredit Leasing; Daniela Fatarella, Direttrice Generale Save the Children Italia; Sara Riffeser Monti, Presidente SpeeD e Componente del Consiglio di Amministrazione Monrif Spa.
Nell’ultima parte del libro, poi, abbiamo cercato di trovare una sintesi fra gli spunti emersi dalle conversazioni avute con queste grandi donne, inserendo altri dati, più argomentati per trarre delle conclusioni e contribuire al cambiamento culturale che ancora frena la presenza femminile al comando.
Dopo l’elezione di Meloni a Presidente del Consiglio, di Schlein a capo del primo partito d’opposizione, di Giuseppina Di Foggia alla guida di una grande azienda partecipata dallo Stato, quando sembra ormai rotto il soffitto di cristallo, perché è ancora importante parlare di quote rosa e leadership femminile?
Sicuramente molto è stato fatto da quando le prime donne hanno assunto ruoli di responsabilità. Pensiamo a Tina Anselmi, prima ministra italiana che tanto ha fatto per la parità di genere in anni ben diversi da quelli attuali, ma anche a Marisa Bellisario, altra figura fondamentale citata nel libro, che ha contribuito in modo decisivo al cambio di passo nel nostro Paese.
Il fatto è che anche adesso si tratta di un cambio di passo lento. È vero che sembra quasi superata la questione delle donne ai vertici. Si potrebbe anche pensare che ormai sia superata anche la legge Golfo-Mosca, quella sulle quote rosa per intenderci, con una quota di circa il 42% delle donne nei board delle aziende, ma l’amara verità è che no, il problema è lungi dall’essere risolto.
Il nodo, che il nostro libro si propone di indagare, sta in quella percentuale, ancora troppo bassa, del 2-3% di amministratrici delegate di società quotate. Per non parlare poi delle società non quotate che non vengono monitorate.
A frenare il cambiamento è, secondo voi, un problema culturale?
Sicuramente alla base di questa situazione ci sono un tema culturale, un problema di istruzione e un ostatolo dato dai pregiudizi.
Pensiamo a tutti quei principi educativi che resistono e vogliono le bambine naturalmente madri e moglie da grandi. Una proiezione che si ripercuote sulle scelte di studio e professionali di molte ragazze che si sentono di dare la priorità alla famiglia rispetto al lavoro e di dedicarsi a materie umanistiche, dove può esserci una maggiore difficoltà a posizionarsi nel mondo del lavoro che oggi richiede competenze tecnologiche, informatiche e ingegneristiche.
Non è un caso che tutte le donne che abbiamo intervistato nel libro, siano cresciute in famiglie e in contesti dove la parità di genere non era più un tema, in cui hanno ricevuto un’educazione assolutamente paritaria rispetto ai fratelli maschi, dove il genere non era un limite o un impedimento alla propria realizzazione professionale ed economica.
Avete citato la legge Golfo-Mosca e nel libro ne parlate spesso, non a caso la premessa è proprio dell’ex onorevole Lella Golfo. Dovrebbero bastare capacità e competenze per arrivare al vertice, eppure in Italia è stata necessaria una legge per far scoprire l’attitudine delle donne a ricoprire ruoli di potere. È così?
C’è spesso un po’ di scetticismo quando si parla di quote rosa e invece questa legge è servita molto.
La legge Golfo-Mosca va proprio nella direzione auspicata, da una parte rompere degli schemi rigidi che altrimenti si farebbe fatica a rompere, dall’altra creare presupposti per un cambiamento culturale.
È evidente che per arrivare in ruoli di primo piano nelle stanze dei bottoni devi essere capace, preparata e avere delle buone performance, ma senza quella spinta sarebbe stato ancora più difficile, o forse impossibile, arrivarci.
Le donne in questi 12 anni di legge Golfo Mosca hanno avuto modo di dimostrare di poter essere assolutamente in grado di fare quello che fanno gli uomini e questo aspetto è uno dei migliori motori di sviluppo verso la totale rottura del soffitto di cristallo.
È vero che concettualmente non dovrebbe essere necessaria una legge per far emergere il talento femminile ma è servita nel medio termine per creare i presupposti culturali e sociali affinché il cambiamento avvenisse.
Va detto però che la legge Golfo Mosca è solo un primo elemento di un percorso che le donne devono affrontare perché non riguarda i ruoli esecutivi.
Quali fattori, oltre a quello culturale, impediscono la rottura definitiva del soffitto di cristallo?
C’è un altro elemento importantissimo che è legato al coraggio e all’osare. Le donne spesso non riescono a raggiungere ruoli di vertice perché a differenza degli uomini hanno più paura di mettersi in gioco.
Basti pensare che le nostre intervistate ci hanno raccontato che quando aprono delle posizioni e di responsabilità ricevono le candidature degli uomini che hanno anche soltanto il 60% dei requisiti per poter ricoprire quell’incarico, mentre le donne si propongono solo se hanno almeno l’80-85% dei requisiti.
Ecco in questo 20% di mancato coraggio di osare sta probabilmente anche un aspetto critico che le donne devono riuscire a superare, oltre ad altri elementi come la solidarietà strutturale in cui le donne spesso sono carenti.
Ovviamente un grosso tema su cui c’è molto ancora da fare sono i servizi di welfare, i sostegni statali e aziendali, alla luce del fatto che sulle donne pesa gran parte del lavoro di cura della famiglia, dei figli, dei genitori anziani.
Sul fronte della solidarietà femminile però le cose stanno cambiando. Per quel che riguarda la mia esperienza, noto un atteggiamento più collaborativo sul lavoro. Non vi pare che dei progressi si siano fatti?
Si, l’intenzione di darci una mano reciprocamente e di valorizzarci sta aumentando, ma anche in questo caso si tratta di un percorso lento.
Le donne si fidano poco fra loro ma quando si fidano, quando c’è la voglia di collaborare creano forti alleanze e sodalizi. Non è immediato come per gli uomini, abituati a fare squadra, devono superare quella diffidenza che le tiene sempre sul chi va là.
Questo sentimento di doversi difendere, probabilmente, nasce dal fatto che le donne non vengono messe in condizione di pari opportunità in una scalata al successo.
Va anche considerato che le donne, quando arrivano a ricoprire dei posti di comando, hanno spesso delle grandissime cicatrici perché la scalata verso il successo è stata faticosa, magari dolorosa, per cui può capitare che nel momento in cui arrivano in alto e vedono un’altra donna inconsciamente ripensano a tutto quello che loro hanno dovuto affrontare per arrivare lì e le vedono come delle avversarie più temibili degli uomini.
Quando riusciranno a fare squadra tra di loro saranno inarrestabili.
Visto il titolo del libro, la domanda sorge spontanea: la leadership femminile esiste davvero o è più corretto parlare di leadership, a prescindere dal genere?
La leadership va al di là del genere, però noi in fondo in questa leadership femminile ci crediamo.
Il leader, prima che uomo o donna, è una persona che dimostra competenza, impegno, determinazione. Questi requisiti oltrepassano i confini del gender. Ma è altrettanto vero che le donne possono contare su valori tipici dell’universo femminile, come empatia, ascolto, valorizzazione delle diversità, inclusione, attenzione alla sostenibilità.
Quel che è davvero importante è che le donne si vedano e sentano leader. Facciamo ancora fatica ad abituarci alla declinazione al femminile di alcuni ruoli, si pensi a sindaca o ministra, perché il linguaggio è molto potente dal punto di vista culturale.
Il messaggio che vogliamo dare alle ragazze è di realizzarsi in quel che desiderano, prima di tutto per loro stesse, senza lasciarsi influenzare dalla società e dagli stereotipi, di non farsi bloccare dalla paura del fallimento e dei giudizi.
Le donne devono prendersi la loro libertà di essere ciò che vogliono, imparando a pensarsi, immaginarsi e percepirsi amministratrici delegate, presidenti del consiglio e in ogni altro ruolo, senza esclusioni.
Vogliamo anche ricordare che ogni passo verso l’affermazione che una donna fa, lo fa per tutte le donne. Le prime a ricoprire posizioni di potere hanno la grande responsabilità di non essere le ultime, aprendo strade a chi viene dopo di loro.
Ci teniamo a chiudere precisando che la questione delle donne al comando non è un discorso vintage o superato, lo sarà solo quando tutti e tutte avremo le stesse opportunità, quando avremo la possibilità di conciliare vita lavorativa e familiare, di fare ciò che desideriamo senza che qualcuno ci dica che è un ruolo da uomo o da donna.
A quel punto non avremo più bisogno di libri come il nostro o di leggi sulle quote rosa.