In piena rivoluzione digitale e con aziende alle prese con le sfide della talent attraction e della retention, che ruolo ha e potrà avere la tecnologia nell’engagement?
I lavoratori italiani sono fra i più tristi e insoddisfatti nel mondo. A dirlo è l’indagine internazionale State of the Global Workplace 2022 di Gallup in cui emerge che gli italiani in ufficio provano stress, rabbia e non sentono di avere delle prospettive di miglioramento.
Solo il 4% degli impiegati italiani si sente pienamente appagato e coinvolto sul lavoro. Un dato bassissimo, confermato anche dall’osservatorio BenEssere Felicità in cui il 44% degli italiani si dice propenso a cambiare lavoro nel breve periodo (l’anno scorso la percentuale era del 38,5%).
Ma cosa cercano le persone per stare bene al lavoro? Al primo posto, in base ai dati del Barometro della felicità 2023, si trova l’essere apprezzato-stimato (44,7%), seguito dal desiderio di fare un mestiere che appassioni (37,8%), dall’essere stimolato alla crescita con il 30,2%, da poter contare su una certa flessibilità oraria (28,4%), fiducia (23,7%) controllo di ciò che si fa (21,4%).
Tecnologia, utile per engagement e talent attraction?
Ad alimentare le preoccupazioni degli italiani, in questi ultimi ci si è messa pure l’intelligenza artificiale: lo sviluppo tecnologico porterà via il lavoro all’uomo oppure lo alleggerirà delle mansioni più noiose e ripetitive?
In piena rivoluzione digitale, con un percorso di innovazione tecnologica inarrestabile, abbiamo approfondito la relazione fra engagement e tecnologia con Augusto Abbarchi, Country Manager Italia di Workday, e Fabrizio Rotondi Chief Operating Officer EMEA South di Workday, azienda che fornisce applicazioni cloud aziendali per la gestione finanziaria e delle risorse umane, progettate con l’intelligenza artificiale e il machine learning, a oltre 10.000 organizzazioni in tutto il mondo e in tutti i settori.
“Il tema dell’engagement – spiega Augusto Abbarchi – è molto importante e la tecnologia può avere un ruolo determinante. Oggi una delle grandi sfide delle aziende è quella di attrarre e trattenere giovani talenti. Le nuove generazioni sono abituate a connettersi a PC, smartphone e tablet per informarsi, studiare, lavorare, fare acquisti, giocare in tempo reale con persone di altre nazionalità, guardare serie TV, usare i social, insomma hanno un livello di digitalizzazione molto alto. Cosa succede se un ragazzo lavora per un’azienda che invece non investe in tecnologia e che ha sistemi obsoleti? Quanto meno farà parecchia fatica a lavorare in questo modo e in questo contesto.”
“Per questo – prosegue Abbarchi – con Workday abbiamo pensato a una piattaforma che fosse immediata, intuitiva dove si potesse fare tutto, senza entrare e uscire da programmi diversi. L’ambiente è assolutamente simile a quello che si vive nella vita privata. Si può usare indifferentemente dal computer sul tablet e sul cellulare, senza soluzione di continuità.”
“Questo strumento, a prescindere dall’età del lavoratore, mette le persone nelle condizioni di avere le informazioni necessarie per prendere delle decisioni e gestire il proprio lavoro in autonomia, rimanendo all’interno della stessa applicazione. Ecco, questo vuole dire prendersi cura dell’employee experience e dell’empowerment dei propri lavoratori e credo che questo approccio possa fare la differenza nel favorire l’engagement”, conclude il Country Manager Italia di Workday.
La tecnologia può servire per valorizzare e trattenere i dipendenti?
Permettendo alle persone di lavorare meglio e di essere autonome la tecnologia può giocare un ruolo chiave nella talent attraction (soprattutto dei più giovani) e dell’engagement.
Veniamo ora a un’altra sfida aziendale: quella di fare in modo che i talenti restino in un periodo caratterizzato da Grandi Dimissioni e da una generale senso di insoddisfazione. Anche in questo caso la tecnologia può essere di aiuto?
“Disponendo delle giuste informazioni – commenta Fabrizio Rotondi Chief Operating Officer EMEA South di Workday – un HR Manager è nelle condizioni di potersi accorgere di situazioni a rischio mesi prima che una persona decida di lasciare l’azienda. In questo modo è possibile attivarsi per prevenire le dimissioni. Con Workday è possibile far emergere situazioni critiche perché andiamo a raccogliere le informazioni a 360 gradi sulle persone e siamo in grado di valutare alcune variabili, come la distanza dal posto di lavoro, se lo stipendio è in linea con il benchmark di mercato, se da tempo non ha avuto delle promozioni, se ha cambiato spesso responsabile e team di lavoro, se ha dimostrato performance sopra o sotto le aspettative, se ha fatto parecchi giorni di malattia o assenze, se non risponde a iniziative aziendali o indagini interne. Insomma, è possibile accorgersi se il livello di engagement sta calando o se stanno emergendo criticità e intervenire per tempo. In questo modo la tecnologia può contribuire a evitare alti tassi di turnover, ridurre i costi di recruiting e onboarding, oltre a mantenere efficienza nello sviluppo dei talenti, in un contesto di continuo cambiamento”.
È indubbio che una conoscenza approfondita delle proprie persone consente anche di evidenziare eventuali competenze da rafforzare o da valorizzare, permettendo agli HR Manager di poter personalizzare la formazione e di pensare a dei percorsi di carriera in linea con le capacità e le ambizioni di ogni singola risorsa.
Gli HR Manager dovranno essere dei Tech Expert?
In piena rivoluzione tecnologica, la gestione delle persone in azienda passa sempre più dall’implementazione di sistemi che tra Artificial Intelligence e HR data analytics possono migliorare il modo in cui si lavora. A questo punto non resta che chiedersi se gli HR Manger dovranno trasformarsi anche in Tech Expert.
“La tecnologia deve essere di facile fruizione e utilizzo, non voglio far passare il messaggio che gli HR Manager dovranno necessariamente essere degli esperti in tecnologia, ma sicuramente è importante che la comprendano e capiscano come può essere usata nella gestione delle persone. Del resto, ormai ha un ruolo fondamentale nella nostra vita e sul lavoro”, chiosa Augusto Abbarchi.
Il future of work è fatto anche di tecnologia. Disinteressarsene sarebbe un errore.