Tanta teoria, ma poca sostanza: l’Italia è in ritardo sulle attività legate a equità e inclusione. Otto imprese su dieci comprendono l’importanza del tema, ma meno della metà ha un piano per realizzare queste attività
Equità e inclusione: 8 imprese su dieci ne comprendono il valore
A seguito della pandemia, le aziende di tutto il mondo hanno iniziato finalmente a comprendere quanto sia importante il benessere delle persone, l’equità e l’inclusione nel mondo del lavoro. Valori che si traducono in azioni concrete di sostegno e welfare, partendo dall’assunto che un lavoratore felice è un lavoratore più produttivo. Tutto vero nella teoria, ma nella pratica?
Secondo lo studio “Future Work” di Inaz e Fiera di Milano, le aziende italiane hanno compreso e assimilato l’importanza di questi concetti, ma devono ancora esprimerli con azioni puntuali e decise. Otto imprese su dieci, infatti, riconoscono l’importanza di valorizzare le persone presenti in azienda, ma non riescono a concretizzare questo auspicio con iniziative incisive, anche a breve termine.
La consapevolezza in tema di parità di genere, equità ed inclusione è sicuramente diffusa tra chi si occupa di risorse umane. L’84% dei responsabili HR che hanno partecipato al sondaggio attribuisce grande rilevanza alla questione da un punto di vista etico. Buona parte del campione ha compreso anche i risvolti pratici di queste azioni, sia sul piano del business (50%) che della fiducia della comunità finanziaria (52%).
Particolare attenzione è riposta dalle imprese riguardo al tema della disabilità (78%), della disparità di genere (76%), delle differenze generazionali (62%) e, a maggiore distanza, orientamento sessuale, origine geografica e religione.
Italia 63esima al Global Gender Gap Index
Come si diceva in precedenza, dal punto di vista pratico le aziende italiane non hanno ancora messo a punto azioni concrete in ambito diversity & inclusion. Stando al sondaggio di Inaz e Fiera di Milano, il 54% delle aziende italiane non dispone di un piano d’azione rispetto a queste tematiche, anche se il 63% di esse prevede di elaborarne uno nel prossimo futuro. Solo il 38% fa seriamente qualcosa per ridurre le disparità in azienda e chi lo fa è principalmente orientato a contrastare la disparità tra uomini e donne, in termini di responsabilità e retribuzione (76%).
Tuttavia, nonostante la consapevolezza sia abbastanza diffusa, da un punto di vista pratico il nostro Paese presenta un considerevole distacco rispetto alle altre nazioni europee, come si evince anche dal Global Gender Gap Index, in cui l’Italia figura al 63° posto per le azioni di inclusione ed equità nel mondo del lavoro.
“L’indagine restituisce nell’insieme un’immagine di vivacità delle aziende italiane sui temi diversity & inclusion ma, al tempo stesso, mostra che siamo ancora lontani da una condizione generalizzata di maturità sul piano dell’ampiezza e della profondità delle azioni messe in atto” ha specificato Fabrizio Lepri, docente presso l’Università degli studi di Roma Tre. “Se volgiamo lo sguardo anche fuori dal mondo del lavoro, si può intuire che in uno scenario sociale, politico e geostrategico come quello attuale, in cui i temi della diversità e dell’inclusione sono interpretati in modo altalenante, controverso e talvolta regressivo, la spinta di cui le imprese hanno ancora bisogno, per una più completa assunzione di responsabilità e chiarezza di prospettive, sembra poter venire nei prossimi anni dalla graduale crescita di protagonismo delle nuove generazioni”.