Intervista all’imprenditore e scrittore Alessandro Rimassa
“Credo nello spirito imprenditoriale, mi piace aiutare le persone a realizzare le cose e credo fermamente che oggi possiamo fare buon business con un impatto positivo sulle persone”, si presenta così, Alessandro Rimassa, sul suo sito. Il suo nome è molto noto nell’ambito della formazione e del digitale. Un imprenditore con grande esperienza nella digital transformation, co-fondatore della Talent Garden Innovation School e anima di Changers, una community dedicata alla crescita e trasformazione professionale. Ma non solo, Rimassa è anche scrittore con sette pubblicazioni all’attivo: Generazione Mille Euro, Generazione Mille Euro RMX, Berlino Sono Io, Jobbing, È facile cambiare l’Italia se sai come farlo, La Repubblica degli Innovatori e l’ultimo uscito Company Culture. Chi meglio di lui può raccontarci come sta evolvendo il variegato universo delle ‘risorse umane’?
Da “Generazione 1000 euro” a “Company Culture” passando dal successo di Talent Garden, una vita dedicata a capire le dinamiche del mondo del lavoro. Quali sono le principali criticità del mercato del lavoro oggi?
In Italia mancano tre cose per far funzionare davvero il mondo del lavoro e quindi le nostre aziende:
1. un mercato flessibile, in cui i più bravi possano crescere velocemente e in cui sia facile per le aziende scegliere le persone;
2. la centralità della funzione HR in azienda, perché se vuoi costruire imprese people-centered e con una company culture sviluppata non puoi lasciare HR ai margini;
3. la predisposizione delle persone a lavorare per obiettivi, tagliando quindi il tempo delle riunioni inutili e della politica interna alle aziende: dobbiamo lavorare meno e meglio.
Talent Garden ha nel suo nome una parola bellissima “talento”, ma a volte pare che le imprese non sempre premino il talento. Ciò è dovuto a come è strutturato il mondo del lavoro oppure a come si fa selezione del personale?
Si spende troppo poco tempo nella selezione, non è ancora chiaro che è lì che si costruisce il successo di un’azienda. È sempre un “ho bisogno di quella persona ieri”, ma così non si scelgono i talenti, ma si pesca tra i disponibili. Manca poi ancora un mercato davvero trasparente, con tutte e dico tutte le posizioni aperte e trasparenti. E infine non si fa selezione nel modo giusto: si guardano i curriculum anziché cercare di comprendere le reali competenze e caratteristiche delle persone, il che non ha senso in un mondo del lavoro in cui le skills mutano velocemente. Hire for values, train for skills è il motto di una famosa direttrice HR americana. Vogliamo adeguarci subito?
Hai recentemente lanciato la community Changers, dedicata alla crescita e alla trasformazione professionale. Quali sono gli ingredienti indispensabili per cambiare la propria vita professionale?
Prima di tutto il volerlo. Molte persone non crescono professionalmente o non cambiano lavoro perché spendono più energie a lamentarsi che ad agire per cambiare. E poi ci si deve preparare, serve studiare e allenarsi: non si impara a gestire un team solo perché si viene promossi manager, non si impara a gestire il proprio tempo in automatico, non si impara a posizionarsi professionalmente senza analizzare le proprie competenze e raccontarle. Changers nasce per questo motivo: vogliamo aiutare le persone a tirare fuori il proprio miglior io professionale!
Digitale e innovazione sono concetti chiave su cui spesso ti soffermi, a che punto è l’Italia sotto questo aspetto rispetto al resto del mondo?
L’innovazione è nel nostro DNA, ma ora la propensione al rischio è troppo bassa, abbiamo aziende imbolsite e annoiate, in cui chi vuole sperimentare viene messo da parte. Serve premiare chi fa e chi sbaglia! Lato digital transformation, il Covid ci ha aiutato molto, ma non possiamo fermarci ora: il digitale è l’opportunità di creare un mondo aziendale e professionale migliore, più performante, più umano.
L’ambiente di lavoro può davvero fare la differenza. Cosa manca oggi alla cultura d’impresa per creare benessere e soddisfazione nei dipendenti o collaboratori?
Certo, ambienti di lavoro collaborativi e sani fanno bene alle persone, alla loro performance, alla produttività. Le aziende devono concentrarsi sul fare stare bene le proprie persone, selezionando le migliori e aiutandole a crescere continuamente. È così che si costruisce il successo di un’impresa, le persone sono tutto!
Smartworking e lavoro agile sono concetti ormai entrati nella quotidianità, rappresentano un’opportunità o nascondono dei rischi?
Purtroppo non credo siano davvero entrati nella quotidianità, ciò di cui parliamo oggi è lavorare da casa o a distanza, non è smart working, che significa lavorare per obiettivi, né tantomeno lavoro agile, che significa lavorare modificando ruoli e gerarchie predefinite. Queste sono le direzioni verso cui dobbiamo andare, costruendo un way of working capace di esaltare innovazione e crescita – delle persone e quindi delle aziende – e cancellare burocrazia e procedure che limitano la creatività. La company culture è questo, un nuovo sistema operativo che permette a imprese e dipendenti di esprimere il meglio di sé!
Quali suggerimenti ti senti di dare a chi si occupa di Risorse Umane e a chi sta per affrontare un colloquio di lavoro?
Chi si occupa di risorse umane deve sapere che o cambia decisamente, immaginandosi non più come una persona di regole e procedure ma come un abilitatore di competenze e relazioni, oppure diventerà inutile. Il nuovo HR è un marketer, un data analyst, un ux designer, un IT expert: cioè un changer, un change leader! Chi affronta un colloquio lo deve fare preparandosi, ascoltando e mostrando ciò che è per davvero. Non solo le aziende scelgono le persone, ma al tempo stesso le persone devono scegliere le aziende.