Lo scarso rendimento può essere un valido motivo per licenziare un dipendente inadempiente nei suoi obblighi contrattuali. Tuttavia trova difficilmente attuazione a causa dei limiti imposti e delle difficoltà per il datore a trovare prove concrete della condotta del proprio subordinato.
Lo scarso rendimento di un dipendente può portare al licenziamento disciplinare. È quanto afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11174/2023, che giustificherebbe i notevoli inadempimenti degli obblighi contrattuali quale possibile causa di un recesso da parte del datore di lavoro.
A differenza di quanto si potrebbe pensare, tuttavia, il lavoratore non è tenuto al raggiungimento di un obiettivo, ma dovrà mettere a disposizione dell’azienda per cui è stato assunto il proprio tempo, nei limiti stabiliti da contratto.
Per impedire un abuso da parte dei datori di lavoro, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 10640/2024 stabilisce che tale tipo di licenziamento potrà essere considerato legittimo solo qualora vi siano notevoli inadempimenti dei lavoratori nei loro obblighi contrattuali. Il datore di lavoro deve verificare quindi se un’attività è stata eseguita con la dovuta diligenza e professionalità secondo la media. In generale, il metro dello scarso rendimento è poco applicato e difficilmente diventa un motivo valido che giustifichi un licenziamento.
In quali casi si può licenziare per scarso rendimento?
Perché si possa considerare legittimo, il licenziamento deve dipendere dalla precisa violazione dell’obbligo di diligente collaborazione del dipendente. In altre parole, occorre che quanto effettivamente realizzato dal lavoratore subordinato sia sproporzionato rispetto agli obiettivi fissati. Si deve trattare di un rendimento da paragonare a quello di altri lavoratori e grave al punto da non permettere la prosecuzione di un loro rapporto. L’onere della prova dovrà ricadere sul datore di lavoro, che dovrà dimostrare la negligenza derivante da un significativo e persistente inadempimento dei normali obblighi contrattuali. Per poter costituire un’ipotesi di recesso, quest’ultimo potrà essere verificato solo dopo un apprezzabile periodo di tempo, e non in seguito a un unico episodio.
La malattia, invece, non potrà rientrare tra le cause di licenziamento, ma potrà diventarlo solo una volta che, trascorsi i sei mesi previsti, il dipendente non ritorni a svolgere la propria attività lavorativa. A ribadirlo è anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11174/2023, che giustifica il recesso solo in seguito al superamento del periodo di comporto. In quest’ultima caso il licenziamento non sarà riconducibile a un comportamento deplorevole, ma si potrà parlare di giustificato motivo oggettivo. Diverso è invece lo scarso rendimento, nel cui caso si tratta di giustificato motivo soggettivo.
Cosa deve fare il datore che licenzia un dipendente per scarso rendimento?
In questi casi, il datore di lavoro dovrà inviare al dipendente un preavviso di avvio della procedura disciplinare con cui individua le condotte in questione, così come previsto dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. Dovrà permettere al lavoratore di contestare entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione memorie scritte e/o chiedendo di poter essere sentito personalmente. Dovrà notificare la decisione in via definitiva per iscritto, nonché provare la condotta del lavoratore che si oppone al licenziamento attraverso la dimostrazione degli scarsi risultati ottenuti e del grave inadempimento contrattuale.