Una ricerca del social network certifica come il condizionamento sociale renda più difficile per le donne, ancora oggi, affrontare in modo deciso i nodi dello stipendio, dell’avanzamento di carriera, dell’assunzione “alla pari”. Una questione di civiltà ma anche uno spreco e un fallimento per una intera società.
È il tema del giorno, Covid e PNRR esclusi.
Delle tematiche di genere, grazie al tribolato e contestato iter del DDL Zan, parlano tutti: reti televisive, opinion leader, influencer, vip e meno vip, giornali, cantanti e gli immancabili politici.
Ma restringendo l’analisi al mondo del lavoro e alla “tradizionale” dialettica uomo/donna, esistono ancora problemi, differenze e discriminazioni in tema d’impiego, professione, ricerca e selezione delle risorse umane?
Sembrerebbe proprio di sì. Almeno a giudicare da una recentissima ricerca promossa niente di meno che da Linkedin, secondo la quale il condizionamento sociale avrebbe portato le donne a sentirsi meno meritevoli degli uomini, influenzando di conseguenza anche le loro carriere.
Lo studio ha un focus specifico: valutare l’impatto del condizionamento sociale sulla retribuzione e sulla progressione di carriera delle donne nel corso della pandemia. Ma i problemi che mette a nudo non si fermano lì, naturalmente.
Quali sono i risultati chiave dell’indagine? Il 44% delle intervistate è convinto che le donne si sentano meno legittimate a ottenere promozioni o aumenti di stipendio. La medesima certezza è condivisa, peraltro, dal 40% degli uomini. Quasi metà delle donne (47%) ammette poi di aver già sperimentato questa sensazione o sapere che altre la provano. Retribuzione e promozioni: mentre Il 62% degli uomini dichiara di aver negoziato lo stipendio per un nuovo ruolo, tra le donne ricorda di averlo fatto solo il 47%. Ben il Il 37% delle donne non ha mai negoziato un aumento di stipendio con il proprio capo accettando un nuovo lavoro perché non si sentiva a suo agio nel chiederlo, E così via, i dati netti e il gap si ripetono, con percentuali analoghe, per decine d’altre situazioni “comuni”, nella ricerca o negli sviluppi di un impiego.
Il sondaggio, anzitutto, certifica un dato oggettivamente poco indagato, nel normale dibattito sul tema. E si tratta di una constatazione assai poco tranquillizzante. La disparità e la discriminazione, tanto a livello salariale quanto sul mercato del lavoro, sono legate a fattori storici, a stereotipi di genere profondamente radicati, all’assenza o insufficienza di stimoli o aiuti riguardo gli impegni familiari. Tutti dati ormai così profondamente legati alla nostra società, che le donne stesse paiono averli interiorizzati, costruendo alti muri che temono di scavalcare, o anche solo di provarci.
Peraltro non è necessario ricorrere a precise statistiche comparative per sapere che la situazione italiana soffre di un’arretratezza cronica e atavica, in gran parte superata nei Paesi con i quali amiamo paragonarci, per avanzamento sociale, economico, scientifico. E soprattutto per civiltà.
Sarebbe lungo, fuori luogo e forse stucchevole, in questa sede, proporre soluzioni, estrarre dal cappello opinabili ricette magiche.
Ci limitiamo qui a constatare che la disparità di genere è viva e tenace, è un dato di fatto confermato anche da un simbolo e un catalizzatore di evoluzione e di futuro come il social network “professionale” per eccellenza.
E che questo stato di cose racconta, ogni giorno, di una grande occasione persa. Non solo per le dirette interessate, ma per tutto un sistema economico e sociale che ha bisogno, come dell’aria che respiriamo, di attingere a tutte le sue migliori risorse.
Potrebbe essere questo il senso più profondo, più reale, più utile di un’espressione abusata come;: “se non ora, quando?”.