Orientatore e Tutor Politiche Attive del Lavoro, ma anche creator dei format “Kit del Lavoro”, “La casa del lavoro” e “InFactor”, Maurizio Fiengo sta diventando una voce molto seguita su Instagram, Telegram e Linkedin, anche grazie alla scelta di raccontare e raccontarsi attraverso dei cartoon informali e divertenti ispirati ai trend del momento.
Avete presente “La casa di carta”? Ebbene, sappiate che se navigando suoi social alla ricerca di informazioni sul mondo del lavoro e vi imbattete in La Casa del lavoro lo spunto nasce proprio dalla famosa serie.
Dietro al format c’è Maurizio Fiengo che nonostante faccia un mestiere decisamente serio ha deciso di affrontare tematiche anche molto complesse con un pizzico di ironia, ed ecco allora in versione cartoon con felpa e occhiali. Un modo per riuscire a parlare a tutti e aiutarlo a trovare il proprio percorso professionale.
Maurizio, ti definisci un orientatore del lavoro “creativo”, ci spieghi come la creatività fa parte del tuo lavoro?
Sì, sono un Tutor Politiche Attive del Lavoro, ma sono anche un orientatore creativo e un sociologo. Mi sono specializzato nel risolvere il più grande problema sociale, quello di trovare lavoro, però lo faccio attraverso il potere delle immagini, in questo senso sono creativo.
Linkedin è il social professionale per eccellenza, come la creatività può dare un boost alla propria carriera?
Quando si parla di personal brand per il lavoro, Linkedin è il social network professionale numero uno al mondo, da lì non puoi scappare, è importante esserci ma per farti notare diventare quello che io definisco un “elemento disturbante” all’interno del feed.
Disturbante significa che in mezzo a tanti post anonimi devi far in modo di essere notato dal tuo target e questo in genere avviene sapendo usare le immagini.
Le immagini sono fondamentali, a maggior ragione sui social, ma attenzione è vero che la nostra è la società dell’immagine ma questo non vuole dire che sia superficiale. L’immagine non basta, devono esserci anche i contenuti.
Per aiutare le persone nel proprio personal branding ho ideato il “Kit del lavoro”, dove grafica e contenuti possono essere declinati in base alla propria professione.
Per la parte grafica ci si può avvalere di Canva, un tool accessibile a tutti che se usato bene può essere davvero un utile alleato. Sono convinto che il personal branding creativo possa aprire molte strade. A me è successo.
Quindi, come dico sempre, è giusto avere il curriculum europeo per quando viene esplicitamente richiesto, ma negli altri casi meglio usare un pizzico di creatività e fantasia nel CV per aumentare le probabilità di essere chiamato a un colloquio.
Come sono nati i format che proponi sui social?
Io mi rivolgo in particolare a un pubblico giovane e per raggiungerlo cavalco i trend del momento. Quando ho iniziato tre anni fa, spopolava la serie “La casa di carta”, così ho dato vita a “La casa del lavoro”, anche perché mi sembrava molto calzante con il mondo del lavoro: essere in un certo senso dei rivoluzionari per attrarre opportunità di lavoro.
La mia attenzione verso le tematiche legate al gender gap mi hanno poi portato a declinare “La casa del lavoro” in “La casa delle donne”.
Con la collega Emanuela Spernazzati, invece, ho ideato un format chiamato “InFactor”, dove ogni settimana intervistiamo un professionista. Conta ormai circa 120 puntate, lo portiamo infatti avanti da due anni e mezzo.
Ci tengo a questo proposito sottolineare un aspetto importante del personal branding: c’è bisogno di un grande lavoro e tanta costanza, permette di raggiugere risultati a lungo termine, non dall’oggi al domani, ecco perché non è tanto utile se ho bisogno di trovare subito un lavoro, ma piuttosto per avere la possibilità di avere un lavoro nel tempo.
Qual è secondo te la soft skill più importante oggi nel mondo del lavoro?
La flessibilità cognitiva che mi permette di cambiare e capire cosa sta succedendo attorno a me.
Parlando di social per trovare lavoro, per esempio, oggi si usa principalmente Linkedin ma se domani invece fosse Telegram il canale professionale è importante capirne le potenzialità e sapere come utilizzarlo.
Great Resignation, Quiet Quitting, Smart Working: le aziende italiane sono pronte ad affrontare i grandi temi che sono emersi in questi ultimi anni nel mercato del lavoro?
Purtroppo, ci sono ancora persone che quando si parla di Grandi Dimissioni non sanno di cosa si sta parlando e anche sullo smart working c’è ancora tanto da fare. C’è chi pensa di poter obbligare i professionisti a lavorare dall’ufficio, ma non è più così.
C’è anche chi pensa che i giovani non hanno voglia di lavorare, ma è davvero così?
C’è un approccio diverso al lavoro. Si tratta di capirne le cause. È riduttivo liquidare la questione a “non hanno voglia di lavorare” perché spesso la demotivazione nasce da molte esperienze negative, dove magari hanno dato tanto e avuto poco in cambio.
Serve responsabilità nel mondo del lavoro, da parte di tutti. Bisogna capire le motivazioni dietro certi atteggiamenti o certe richieste, perché si è arrivati a questo punto.
È troppo facile dare la colpa ai giovani. Serve intervenire già al momento dell’educazione, colmando lacune che ed errori che possono avvenire a livello scolastico, perché la demotivazione nasce anche da lì, da una mancata valorizzazione di alcuni talenti e dal fatto che, a mio avviso tutto, quello che è innovativo in contesti tradizionali viene visto in modo poco positivo.
Veniamo al tuo lavoro di tutor e orientatore. Quali consigli dai chi vuole lavorare sul proprio personal branding per trovare lavoro?
Innanzitutto, di lavorare sul mindset. Oggi più che cercare lavoro, dobbiamo trovare la modalità per attrarre lavoro. Ma bisogna anche capire che non è detto che il lavoro che troverò sarà per tutta la vita, anzi accade sempre meno, ma magari mentre hai quel lavoro utilizzando il personal branding potresti attrarre nuove opportunità.
Per come è oggi il mondo del lavoro non ti puoi innamorare del tuo datore di lavoro perché può finire tutto da un momento all’altro. Solo una minima parte ha un percorso professionale per cui si è stato formato nella scuola che ha frequentato.
Ci tengo molto che le persone capiscano in che mondo viviamo, quali sono le difficoltà principali.
È importante avere determinazione e motivazione. Bisogna capire cosa si sta cercando dal lavoro: difficilmente il solo portare a casa uno stipendio ti permetterà di essere completamente soddisfatto ed evitare burnout.
A proposito di guadagni. Sui social ci sono molti ragazzi che mostrano una vita patinata, grandi guadagni lavorando online, in attività dove sembra molto facile arricchirsi. Non si rischia che i giovani prendano come riferimento dei modelli irraggiungibili?
Sì, sui social ci possono essere delle distorsioni della realtà con ricadute disastrose. L’ostentazione di fatturare alte somme, di potersi concedere tutto talvolta anche senza lavorare, è un messaggio pericolosissimo.
Alcuni di questi sedicenti esperti di marketing e di guadagno facile sono anche stati smascherati e si è scoperto che l’auto di lusso non era loro, la casa a Dubai nemmeno e via dicendo. Bisogna stare attenti, ci sono degli esempi alterati, tante volte quella mostrata non è la realtà.
Aggiungo che, a prescindere se si è effettivamente una persona di successo o meno, bisogna avere rispetto quando si parla dei risultati raggiunti nei confronti di tutte quelle persone che fanno una grande fatica a portare a casa mille euro al mese.
E visto che abbiamo accennato ai social, secondo te il moltiplicarsi di “influencer” del lavoro non rischia di disorientare più che di aiutare a trovare la propria strada professionale?
Dipende chiaramente da chi si prende come riferimento. Una divulgazione positiva fatta da una persona competete può essere davvero molto utile.
Sapere come funzionavano le cose, come scrivere un CV, come affrontare un colloquio, quale percorso di studi intraprendere è di grande aiuto, soprattutto per i ragazzi.
Dal mio punto di vista, stanno emergendo forse un po’ troppo velocemente tanti career coach che fino all’altro ieri facevano altro. Ci sta cambiare attività, ormai le professioni sono liquide, però non basta fare un minicorso per diventare coach del lavoro.
Io ho iniziato a scrivere di lavoro su LinkedIn dopo aver conseguito due lauree in sociologia, un master nei servizi al lavoro, sono partito dal basso e oggi faccio orientatore perché 7 anni fa ero dall’altro lato, partecipavo a degli incontri di ricerca del lavoro, poi ho iniziato a fare il tirocinante fino ad arrivare a oggi in cui ho maturato 6 anni di esperienza nell’ambito del lavoro.
E scrivo sempre con umiltà perché ho grande rispetto di chi ha molta più esperienza di me. In più conosco i miei limiti, su alcuni aspetti specifici (per esempio guadagni e RAL) è bene che ci si rivolga a persone che conoscono meglio di me quell’ambito particolare.
Torniamo alla persona che viene da te ti chiede aiuto nel trovare lavoro. Dopo aver inquadrato il contesto in cui ci troviamo per preparare il giusto mindset, come procedi poi?
Utilizzo uno strumento che si chiama la “Ricetta del tutor” volto a far emergere i punti di forza e le aree di miglioramento. In particolare, secondo me è importante capire se la persona ha più sviluppata la sua componente relazionale e comunicativa o quella organizzativa e razionale. Questa distinzione permette di capire gli ambiti in cui un candidato può riuscire meglio.
Altro aspetto che ci tengo a sottolineare è che le skill, hard e soft, devono sempre essere alimentate. La formazione deve essere continua.
Una volta capite le proprie aree di interesse, bisogna ampliare le conoscenze con percorsi mirati, corsi di approfondimento, master che vengono che riconosciuti dal mondo del lavoro e che permettono di avere quella padronanza nel potersi cimentare nelle sfide professionali che ci attendono.
È fondamentale capire che non bisogna accontentarsi mai, bisogna continuare a imparare, andare sempre oltre. E questo vale per tutti, non solo per chi è alla ricerca di lavoro.