Rasizza: “una sostanziale ripresa della domanda da parte delle aziende già a partire dalla fine del lockdown”.
Pioniere del lavoro interinale, Rosario Rasizza è l’amministratore delegato di Openjobmetis, uno dei principali player del settore del lavoro interinale con oltre 600 dipendenti e dal 2013 è anche Presidente di Assosomm (Associazione Italiana della Agenzie per il Lavoro). Il mondo del lavoro è infatti profondamente cambiato. La pandemia ha messo in crisi molte realtà, i dati sulla disoccupazione evidenziano una situazione problematica soprattutto tra le fasce più deboli della società. Con Rosario Rasizza abbiamo cercato di capire cosa sta succedendo sul fronte occupazionale, quali interventi risultano necessari per la ripartenza e cosa invece non ha funzionato.
L’emergenza sanitaria ha avuto un grosso impatto sul mondo del lavoro, ci dobbiamo aspettare più disoccupati o soprattutto un cambiamento nel modo di lavorare?
Proverei a tenere distinte le due questioni. La pandemia ha indubbiamente portato a uno stravolgimento nel modo di lavorare. E non mi riferisco solamente all’adozione di forme virtuose di flessibilità, come lo smart working. Ma, più in generale, alla necessità di accelerare il processo di digitalizzazione delle aziende. Un obiettivo che ha reso ancora più urgente la richiesta di profili specializzati in questo settore e in queste nuove professioni. Per quanto riguarda le previsioni future rispetto al tasso di disoccupazione, posso fare riferimento al nostro osservatorio che mostra una sostanziale ripresa della domanda da parte delle aziende già a partire dalla fine del lockdown.
Sono in arrivo gli ingenti fondi del Recovery Fund, come dovrebbero essere utilizzati per rilanciare l’occupazione?
I fondi resi disponibili dal Recovery Fund rappresentano innanzitutto una fonte di finanziamento indispensabile a tutelare la stabilità del sistema economico nazionale. È fondamentale che questo sostegno possa essere tradotto in un aiuto concreto all’economia reale in modo da suggerire quelle riforme necessarie a rilanciare anche il mercato del lavoro. Mi riferisco in particolare alla riduzione del cuneo fiscale e a quegli incentivi utili a stimolare nuove assunzioni.
C’è una polemica in corso sul fatto che misure di sostegno ai disoccupati, come il reddito di cittadinanza, abbiano tolto lo stimolo a molte persone nel cercare un’occupazione e che i navigator siano stati un flop. Cosa ne pensa?
È innegabile che le cose stiano così. Il Reddito di cittadinanza ha sì rappresentato un valido sostegno alle persone e famiglie in seria difficoltà, ma non è riuscito a proporre percorsi di formazione utili per l’inserimento nel mercato del lavoro. Insomma, ha funzionato nella fase passiva, ma ha fallito in quella attiva. Del resto, i navigator avevano suscitato perplessità fin dall’inizio, ed era difficile immaginare che una simile figura professionale potesse raggiungere gli obiettivi per cui era stata istituita.
Da un lato si parla di fuga di cervelli, dall’altra del fatto che è difficile trovare manodopera specializzata. Come mai il mercato del lavoro italiano c’è uno scollamento così profondo tra chi cerca e chi offre impiego? E come si potrebbe colmare?
I motivi sono tanti, ma credo che alla base di questo grave problema del nostro mercato del lavoro ci sia anche una questione culturale. Spesso, infatti, le persone in cerca di lavoro rifiutano delle offerte senza considerare che un primo impiego può comunque rappresentare una tappa utile per entrare nel mondo del lavoro e per tracciare una futura crescita professionale.
Si parla molto della difficoltà dei giovani nel trovare lavoro, ma si parla forse troppo poco di chi lo ha perso e si deve rimettere in gioco a 40 o 50 anni, cosa si può fare per queste categorie?
I professionisti over 50 meritano le stesse attenzioni dei giovani e condividono con loro il medesimo invito a non fermarsi, a guardare oltre, a scoprire, riscoprire e implementare le proprie skills frequentando percorsi formativi ad hoc o rivolgendosi a esperti in outplacement per definire percorsi di carriera a partire da una puntuale valutazione delle competenze.
La pandemia ha frenato Milano, una città da sempre in fermento, c’è da aspettarsi che riesca prima di altre città italiane a ripartire ed essere ancora una volta la “capitale del lavoro”?
Indubbiamente Milano è da sempre il termometro che dà indicazioni su crescita e aspettative del mercato del lavoro in Lombardia, ma anche a livello nazionale. Milano, va ricordato, è un passo avanti rispetto alle altre città anche su temi come le nuove forme di lavoro e la mobilità che dopo la pandemia hanno assunto ancora più rilevanza. Voglio essere ottimista e pensare che Milano, con l’Italia, riprenderà presto la sua corsa contribuendo a definire un percorso di ripartenza e crescita sia del mercato del lavoro, sia più in generale della nostra economia.