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Naspi ai detenuti

Naspi ai detenuti: la Cassazione riconosce il diritto alla disoccupazione

La Suprema Corte stabilisce che i detenuti che perdono il lavoro svolto in carcere per cause indipendenti dalla loro volontà hanno diritto alla Naspi, equiparando il lavoro carcerario a quello nel libero mercato. Il principio sancisce un ulteriore passo in avanti verso il riconoscimento dei diritti lavorativi dei detenuti e il loro reinserimento sociale.

La Corte di Cassazione riconosce la Naspi ai lavoratori detenuti

La Corte di Cassazione ha confermato che i detenuti che svolgono attività lavorativa all’interno delle strutture penitenziarie hanno diritto alla Naspi, nel caso in cui la cessazione dell’attività lavorativa non sia avvenuta per loro volontà. Il rapporto di lavoro dei detenuti alle dipendenze della Pubblica amministrazione penitenziaria, pur con peculiarità normative, deve essere considerato come un ordinario rapporto di lavoro. Ciò significa che ai detenuti devono essere riconosciuti gli stessi diritti di cui godono i lavoratori del libero mercato, compresa la Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (Naspi).

La decisione della Cassazione nasce dal ricorso dell’Inps contro il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione a un detenuto al termine di un lavoro a progetto finanziato dalla Cassa Ammende, un fondo destinato a sostenere i progetti lavorativi all’interno delle carceri italiane. L’Inps aveva contestato tale equiparazione, sostenendo che il lavoro in carcere presenta differenze strutturali rispetto a quello ordinario: i detenuti non sottoscrivono contratti, ma vengono assegnati alle attività lavorative, percepiscono una mercede inferiore ai limiti della contrattazione collettiva e il lavoro stesso ha una funzione rieducativa e riabilitativa.

Il lavoro carcerario deve essere assimilato a quello ordinario

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Inps sottolineando un principio cardine: il lavoro carcerario è tanto più rieducativo quanto più è simile a quello svolto in libertà. La sentenza riconosce che l’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha progressivamente ridotto il carattere di specialità del lavoro svolto dai detenuti. In passato, tale attività aveva una natura afflittiva e obbligatoria, utilizzata come strumento di disciplina interna, mentre oggi è divenuta un mezzo fondamentale per il reinserimento sociale.

La decisione stabilisce che l’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono rispecchiare quelli del mercato del lavoro ordinario. Di conseguenza, ai detenuti spettano gli stessi diritti, inclusi la tutela assicurativa e previdenziale, il rispetto della durata delle prestazioni lavorative nei limiti di legge e il diritto al riposo festivo. In questo contesto, il riconoscimento della Naspi ai detenuti rappresenta un tassello fondamentale nel garantire la continuità reddituale e facilitare la transizione verso il reinserimento sociale ed economico al termine della detenzione.

Implicazioni della sentenza e prospettive future

Il pronunciamento della Cassazione assume un valore significativo nel quadro delle politiche di reinserimento dei detenuti. Riconoscere loro il diritto alla Naspi significa rafforzare la tutela dei diritti lavorativi e sostenere una strategia efficace di reinserimento post-detenzione. Garantire che il lavoro carcerario sia trattato con le stesse regole del lavoro libero contribuisce a costruire un percorso più agevole per il ritorno alla società, incentivando la formazione professionale e la stabilità economica dopo la scarcerazione.

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