I laureati italiani sempre più spesso decidono di cercare un lavoro all’estero, dove le condizioni sono migliori e la retribuzione è più alta e in linea rispetto al percorso formativo intrapreso.
Il 90,5% dei laureati si dice soddisfatto del percorso di laurea scelto, e il 72,1% di loro lo rifarebbe. E’ quanto emerge dall’ultimo Rapporto AlmaLaurea sul Profilo e sulla Condizione Occupazionale dei Laureati che, giunto alla sua XXVI edizione, conferma la crescita di questa tendenza rispetto all’86,0% nel 2013.
Secondo i dati raccolti nel 2023 su 78 atenei e circa 660mila laureati, l’età media di laurea è di 25,7 anni, con il 61,5% che ha concluso gli studi nei tempi previsti. Il 9,8% dei laureati ha studiato all’estero, riprendendo un trend che si era interrotto a causa della pandemia e registrando percentuali molto alte di soddisfazione, che raggiungono il 95%.
Laureati in partenza: cresce la tendenza
L’esperienza all’estero è sempre più importante. In campo lavorativo, il 17,1% tra coloro che sono stati per un certo periodo fuori dall’Italia ha una maggiore possibilità di essere occupato rispetto a chi non l’ha fatto, tanto da essere preso in considerazione dai laureati anche per il proprio percorso lavorativo futuro.
A un anno dal conseguimento del titolo va a lavorare all’estero il 4,0% dei laureati di secondo livello, mentre a cinque anni la percentuale sale fino al 5,5%. A prendere questa decisione, in particolare, sarebbero i laureati più brillanti, sia in termini di regolarità negli studi sia quanto ai voti negli esami.
Lo studio, nell’analizzare i diversi settori, mette in evidenza che a lasciare l’Italia sono soprattutto i laureati in ambito scientifico (l’8,2% dopo un anno e l’11,7% dopo cinque). Seguono i laureati in ambito linguistico (8,2% e 11,3%), informatico e delle tecnologie ICT (7,9% e 13,7%), del gruppo politico-sociale e comunicazione (5,9% e 7,7%) e ingegneria industriale e dell’informazione (5,8% e 10,1%).
Perché i laureati italiani vanno all’estero
Stando ai dati pubblicati da AlmaLaurea, il 27,4% degli intervistati avrebbe preferito trasferirsi all’estero per mancanza di opportunità di lavoro adeguate in Italia. Nonostante l’inflazione, gli stipendi nostrani non si sono adeguati al costo della vita, facendo crescere un forte malcontento, specialmente tra i laureati, poco disposti ad accettare uno stipendio da 1.250 euro al mese. Il numero, rispetto allo scorso anno, è in crescita: quasi il 60% tra coloro che hanno conseguito una laurea triennale e il 66% di chi ha raggiunto quella magistrale rifiuterebbe un’offerta simile. Di questi, il 38,1% dei laureati di primo livello e il 32,9% dei laureati di secondo livello prenderebbero in considerazione l’idea di lavorare all’estero, dove gli stipendi sono notevolmente più alti. Raggiungono infatti i 2.174 euro mensili netti a un anno dal conseguimento del titolo (pari a +56,1% rispetto a chi resta) e i 2.710 euro a cinque anni dalla laurea (+58,7%).
A lasciare il Paese sono soprattutto uomini. Dopo un anno dalla laurea il 4,7% si trasferisce all’estero, contro una percentuale pari al 3,5% riguardante le donne. A cinque anni dal titolo crescono per entrambi i generi: sono pari al 6,8% gli uomini e al 4,5% le donne.
Alcuni di loro, a distanza di anni, valuta un possibile rientro. Il 38,4% lo ritiene improbabile, il 30,5% poco probabile, e infine solo il 15,1% lo crede possibile. Il 14,7% non si esprime.