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Patto di non concorrenza: cos’è e quando si applica?

Il patto di non concorrenza è disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile e impedisce al lavoratore di svolgere attività lavorativa in concorrenza con il datore di lavoro, anche per il tempo successivo alla cessazione del contratto di lavoro.

Ciò, al fine di proteggere l’azienda sia nelle sue componenti interne (quali organizzazione sia tecnica che amministrativa, metodi e/o processi di lavoro, ecc) che in quelle esterne (quali ad esempio avviamento e clientela).

Qual è il suo scopo?

L’articolo 2125 del codice civile definisce il patto di non concorrenza come l’accordo atto a limitare “lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto”.

Il patto di non concorrenza è cioè un accordo con cui il lavoratore si impegna a non svolgere attività di concorrenza nei confronti del datore di lavoro:

  • dopo la cessazione del rapporto di lavoro, e
  • per un determinato periodo di tempo, ricevendo in cambio un compenso.

Lo scopo del patto è quindi estendere, per un definito periodo successivo alla cessazione del rapporto, l’obbligo di non concorrenza che, in costanza del  rapporto stesso, è imposto al lavoratore ai sensi dall’codice civile.

Si ricorda infatti che mentre il rapporto è in corso di svolgimento, il lavoratore non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, senza necessità di alcun accordo particolare.

Si applica a tutti i lavoratori?

Il patto può riguardare i dirigenti e gli altri dipendenti apicali ma anche impiegati generici, operai e commessi, per ogni tipo di attività, sia quella svolta personalmente e direttamente in forma subordinata o autonoma, sia quella svolta in forma societaria.

Forma scritta

La forma scritta è richiesta a pena di nullità.

Il patto di non concorrenza e può essere stipulato:

  • all’atto dell’assunzione, inserendo una specifica clausola nel contratto di assunzione oppure con apposito atto separato, oppure, 
  • in un successivo momento, sia in costanza di rapporto di lavoro, sia in occasione della sua cessazione.

Oggetto del patto

Le attività lavorative inibite al lavoratore una volta cessato il rapporto di lavoro possono essere determinate non solamente sulla base delle attività che l’ex dipendente è tenuto a non svolgere ma anche sulla base dei soggetti a favore dei quali egli non potrà svolgere una determinata attività lavorativa.

L’ampiezza del vincolo imposto al lavoratore dal patto di non concorrenza deve essere tale da non comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del dipendente medesimo in limiti che ne compromettano la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita.

Il patto è quindi nullo quando l’ampiezza dell’oggetto è tale da comprimere la concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale.

Durata del patto

Il patto di non concorrenza non può avere una durata superiore a:

  • 5 anni per i dirigenti;
  • 3 anni per la generalità dei prestatori di lavoro.

decorrenti dal primo giorno successivo alla cessazione dell’attività lavorativa.

Ambito territoriale

Il patto di non concorrenza deve essere circoscritto entro determinati limiti di luogo e questo a pena di nullità.

Tanto maggiori saranno le attività precluse al lavoratore, tanto più sarà necessario circoscrivere lo stesso ambito territoriale.

Sono nulli ad esempio i patti di non concorrenza estesi a tutto il territorio dell’Unione europea e a un intero settore merceologico oppure con indicazioni generiche e troppo estese.

Corrispettivo

L’articolo 2125 del codice civile richiede, ai fini della validità del patto, un corrispettivo in favore del prestatore di lavoro a fronte delle limitazioni allo svolgimento dell’attività lavorativa e del sacrificio richiesto ma non detta alcun criterio in merito:

  • alla determinazione della misura del corrispettivo, ovvero
  • alle modalità e ai tempi di corresponsione.

La giurisprudenza ritiene che il patto di non concorrenza sia valido solo qualora preveda un corrispettivo congruo rispetto alla limitazione imposta al lavoratore.

Ne consegue quindi che sono nulli i patti che prevedano compensi simbolici o sproporzionati rispetto alla gravosità dei vincoli imposti.

E se il lavoratore viola il patto?

In caso di violazione del patto di non concorrenza, l’ex datore di lavoro può agire in giudizio per ottenere:

  • dal Tribunale un’ordinanza di cessazione dell’attività attraverso il ricorso d’urgenza d’urgenza ex articolo 700 codice di procedura civile;
  • la risoluzione del patto e la condanna del lavoratore alla restituzione del corrispettivo ricevuto; 
  • il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.

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