Alessandro Rimassa non ha dubbi: la funzione HR non può più essere rilegata a supporto di altre funzioni, ma è centrale nelle aziende, ma troppo spesso sono gli HR manager stessi a non esserne consapevoli. Di questo e molto altro parla il suo libro “Le 5 lenti dell’HR”.
Innovatore nel DNA, Alessandro Rimassa, Founder e CEO di Radical HR, è una delle voci italiane più autorevoli in fatto di risorse umane. Con uno sguardo sempre rivolto all’estero e al futuro, riesce a capire, spesso prima di altri, come si sta muovendo il mercato del lavoro.
Nel suo ultimo libro “Le 5 lenti dell’HR – Ripensare la funzione Risorse Umane per guidare la People Transformation” (Egea) analizza in modo pragmatico l’evoluzione della funzione HR. In un contesto caratterizzato da Grandi Dimissioni, Quite Quitting e la necessità di coinvolgere e attrarre i talenti, delinea con pragmatismo una strategia capace di portare l’HR a diventare centrale nei processi aziendali. Come? Attraverso, appunto, cinque potentissime lenti. Ce ne ha parlato in questa intervista.
Dopo “Company Culture”, in cui indicavi la cultura aziendale come il sistema operativo indispensabile alle aziende per svilupparsi, ecco che torni in libreria con “Le 5 lenti dell’HR”, un saggio che va a rafforzare un concetto fondamentale: l’importanza delle persone delle aziende e quindi la centralità della funzione HR. Perché, secondo te, oggi gli HR manager sono fuori dalle stanze dei bottoni invece di essere al fianco del top management in ogni decisione strategica?
Io credo che la figura dell’HR si stia evolvendo e che sia sempre più presente nelle decisioni strategiche delle aziende. Però credo al tempo stesso che gli HR abbiano bisogno di rivedere le proprie competenze e le proprie attitudini per riuscire realmente a contare.
Mi spiego meglio: se vogliamo mettere le persone al centro dell’azienda, abbiamo la necessità che la funzione che si occupa di persone sia al centro dell’azienda e che quindi realmente conti. Ma se vuole davvero contare, l’HR ha la necessità di fare un upgrade e update di competenze e di sviluppare una mentalità che l’aiuti a dialogare alla pari con le altre funzioni di guida aziendale.
In questo senso indossare le cinque lenti, tutte insieme, una dopo l’altra o sovrapposte, a seconda dei momenti, secondo me, è esattamente quello che serve.
Indossando le cinque lenti l’HR diventa di fatto una funzione di business perché ha gli strumenti per interpretare i cambiamenti e le trasformazioni che ci sono nel mercato e all’interno dell’impresa.
Nel libro dedichi molto spazio a un concetto che spesso le aziende trascurano: le persone felici fanno crescere gli utili. Possiamo dire che c’è una correlazione fra felicità e ROE?
Possiamo senz’altro dire che c’è una correlazione tra la felicità delle persone e l’andamento dell’azienda. Non lo sostengo io, ma ci sono diverse ricerche scientifiche a livello globale che vanno a spiegare molto bene che più le persone sono felici, più riescono a contribuire in maniera produttiva, efficace ed efficiente al funzionamento dell’azienda.
Allora, occupiamoci delle persone, aiutiamole a stare bene, perché facendo così aiuteremo l’azienda a crescere.
In questo senso ritorniamo alla metà del secolo scorso, a Olivetti e a tanti altri imprenditori che hanno costruito aziende realmente centrate sulle persone. Così facendo, l’azienda diventa un partner del benessere delle persone.
Del resto, mai come ora il benessere è qualcosa di importante per le persone, ma al tempo stesso è sempre più difficile da raggiungere.
Talvolta si parla di well-being senza sapere esattamente cosa fara per ottenerlo. In questo senso è molto importante che l’azienda diventi il partner del benessere delle proprie persone, solo così potrà stabilire una relazione profonda e duratura con loro, favorendone quindi l’engagement.
Vediamo insieme di capire come indossando alcune delle lenti che suggerisci può cambiare lo sguardo dell’HR. Iniziamo dalla lente del design. Perché un HR manager dovrebbe essere anche un designer?
Oggi una delle cose più importanti il funzionamento dell’azienda e delle persone al suo interno, è la employee experience, cioè l’esperienza di lavoro delle persone, che inizia ancora prima come candidate experience, poi onboarding experience e via dicendo.
Il designer si occupa di “disegnare” esperienze. Allo stesso modo, chi si occupa di HR è tenuto a progettare esperienze memorabili per le proprie persone.
Prendiamo ad esempio l’onboarding. Può esserci un onboarding mal gestito, in cui la persona che arriva il suo primo giorno in azienda, si presenta alla reception e il receptionist e non sa nemmeno chi sia. Oppure ci può essere un onboarding in cui la persona riceve prima delle indicazioni su cosa dovrà fare in quel suo primo giorno, magari riceve anche una telefonata dal proprio manager, oltre a un badge e quando arriva in reception, chi lo accoglie sa esattamente chi è. Ecco queste piccole cose cambiano completamente l’esperienza del nuovo arrivato.
Non è difficile, ma per farlo fare bisogna essere dei designer. Per questo per l’HR manager è importante indossare la lente del design.
Passiamo ora a un’altra lente, quella del marketer. Risorse Umane e Marketing sembrano due divisioni che viaggiano su binari paralleli. In che modo essere dei marketer può fare un gran bene agli HR?
Prendiamo ad esempio le employer branding, cioè la comunicazione esterna di un’azienda per attirare potenziali nuovi candidati future persone che vorranno lavorare per quell’azienda. Che cos’è la employer branding se non un’operazione di marketing?
Pensiamo ora alla comunicazione interna, attraverso cui dobbiamo raccontare a tutte le nostre collaboratrici e collaboratori che cosa stiamo facendo, le iniziative per loro e dell’impresa. Di nuovo, la comunicazione interna che cos’è se non un’operazione di marketing che favorisce poi l’engagement delle persone?
Ecco perché, per chi si occupa di risorse umane, il marketing non è qualcosa di laterale, ma diventa centrale. Per questo indossare la lente del marketing deve trasformarsi in un’attività quotidiana per gli HR manager.
La lente del learning invece sembra più intuitiva, eppure ho l’impressione che molti HR manager si occupino della formazione delle persone dell’azienda e meno della propria. È così?
È molto vero. Normalmente chi si occupa di formazione in azienda e in generale tutte e tutti gli HR si concentrano sulla formazione degli altri, ma non sulla propria. E in questo senso, quindi, la lente del learning ci viene in aiuto perché se indossare la lente del learning diventa qualcosa di fondamentale per gli HR, è ovvio che l’HR debba pensare anche alla propria formazione.
In senso più ampio, indossare la lente del learning vuol dire ripensare a come si fa formazione in azienda, azzerando quella moda degli ultimi anni di avere infiniti cataloghi a disposizione di tutti, dimenticandosi espressioni come il “Netflix della formazione”, in cui ogni persona può avere accesso a decine se non centinaia di corsi.
Fare formazione aziendale in maniera seria e quindi indossare la lente del learining, significa progettare esperienze formative ad hoc per ogni singolo dipartimento, per ogni singola persona.
La formazione è qualcosa di centrale e non esiste un fits all. Un concetto, quest’ultimo, totalmente errato che deve essere categoricamente superato.
Ecco che allora la lente del learning, apparentemente la più scontata per HR, diventa probabilmente la più difficile oggi da indossare perché deve imparare a fare in maniera diversa qualcosa che faceva in passato in maniera completamente errata.
Concludo con una domanda che continuo a pormi tutti le volte che leggo comunicati o sento speech in cui si dice che l’azienda XY mette le persone al centro. In questi ultimi anni, infatti, si parla continuamente di “persone al centro”. Non c’è il rischio che questa espressione resti uno slogan e le attività introdotte una tantum dalle aziende siano solo delle operazioni di “soul washing”?
Mettere le persone al centro come espressione non vuol dire assolutamente niente. Al centro di cosa? In che modo? Per quale motivo? Rispondere a queste domande può essere un punto di partenza, un incipit.
Quando si ascolta un’azienda dire che mette le persone al centro o quando ci si candida per lavorare per un’azienda che afferma di essere people centric, bisogna sempre rispondere chiedendo: in che modo mettete le persone al centro concretamente? La risposta deve essere circostanziata e precisa: offriamo 40 ore di formazione a tutte le nostre persone; ogni anno investiamo in welfare X mila euro a persona; ci occupiamo di well-being mentale o finanziario, con queste iniziative specifiche e via dicendo.
Servono delle azioni precise, perché mettere le persone al centro è appunto un buono slogan, ma per farlo diventare qualcosa di reale serve una people strategy, realmente strutturata.