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Smart working: Italia fanalino di coda fra i Paesi UE

Lo smart working in Italia è sempre meno diffuso. Secondo Eurostat il nostro Paese è agli ultimi posti in UE. Ad adottarlo per almeno la metà del monte ore settimanale sarebbe solo il 4,4% delle imprese.  

Lo scorso anno in Italia solo il 4,4% dei lavoratori ha potuto svolgere da remoto almeno la metà delle proprie ore settimanali di lavoro. Un’enorme differenza se si considera la media dell’Unione europea, che si attesta al 9%. A rivelare questi dati è Eurostat, secondo la cui classifica il Bel Paese è agli ultimi posti della classifica. Occupa invece la prima posizione la Finlandia (22,4%), seguita da Irlanda (22,2%) e Belgio (14,5%). In 11 Stati, inoltre, le percentuali sono superiori alla media UE.

Smart working in Italia

Rispetto ad altre nazioni, l’Italia ha sempre registrato una tendenza al di sotto della media UE. L’unica crescita ha riguardato il periodo della diffusione della pandemia Covid-19, con un forte incremento durante il 2020, fino a raggiungere una percentuale pari al 12,3%.  

Una conferma di quest’analisi arriva anche dall’Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano, in base ai cui dati emerge che lo scorso anno solo 3 milioni di lavoratori hanno potuto usufruire di questo modello lavorativo.

La crescita dello smart working in Italia rispetto ai livelli pre-pandemici è solo dello 0,8%. Dal 1° aprile, inoltre, è tornata a regolarne la disciplina la legge n. 81/2017, facendo sparire le semplificazioni contrattuali previste fino ad allora anche per le categorie di lavoratori considerati più fragili. Lo smart working oggi non è più dunque un diritto, ma un’opzione adottata in casi specifici, quando sussiste un accordo tra il dipendente e l’impresa. Non è più una necessità, ma una scelta regolata internamente all’azienda.

Perché alcune aziende continuano a preferire lo smart working

Diversi studi hanno messo in evidenza che, adottando lo smart working, è possibile risparmiare su ciascun dipendente fino a 2.500 euro per acquistare o affittare gli spazi da adibire a uffici. Il lavoro da remoto, inoltre, consente una forte riduzione delle emissioni di CO2. E’ stato calcolato che, stando a casa due giorni alla settimana, ciascun dipendente produrrebbe 480 chilogrammi di CO2 in meno all’anno, nonché una minor quantità di ossidi di azoto, monossido di carbonio, PM10 e PM2,5.

I vantaggi dello smart working per i dipendenti

Uno dei vantaggi del telelavoro riguarda il miglior equilibrio tra vita professionale e privata, dovuto soprattutto a una riduzione degli spostamenti. Secondo lo studio realizzato dall’Associazione dei direttori del personale (Aid), una giornata di lavoro da remoto permetterebbe ai lavoratori di evitare 74 minuti di traffico per recarsi in ufficio, nonché 1.000 euro di costi annui per il trasporto.

Gli svantaggi

D’altra parte, passare più tempo a casa significa utilizzare maggiormente i propri elettrodomestici, aumentandone i consumi. Nel 2022 Altroconsumo ha voluto sottolineare la differenza tra chi lavora collegato da casa e chi invece va in ufficio: secondo i dati, i primi spendevano tra i 298 e i 323 euro in più dei secondi per l’elettricità, e 476 euro in più per il gas.

Che cosa riserverà il futuro?

Secondo l’Osservatorio di Milano continueranno a lavorare da remoto soprattutto i dipendenti delle grandi imprese, che contano circa 1,84 milioni. Le piccole e medie aziende, che costituiscono invece la maggior parte delle realtà presenti nel Paese, probabilmente terranno conto di questa modalità nelle situazioni di emergenza.

Oltre allo smart working, nel 2023 sono stati sperimentati anche nuovi modelli di flessibilità, come ad esempio la settimana corta. Ad oggi, tuttavia, rappresenta un’esperienza per limitati periodi di tempo in meno di un’azienda di grandi dimensioni su dieci. Sono esperimenti svolti soprattutto all’estero ma che, stando a qualche indiscrezione, potrebbero essere fatti anche in Italia.

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