Addio al segreto salariale. A stabilirlo è una nuova direttiva europea, orientata a contrastare la disparità retributiva di genere e a difendere la trasparenza dei contratti di lavoro.
Stop al segreto salariale: cosa prevede la nuova direttiva Ue
Nelle scorse settimane è entrata in vigore una nuova direttiva europea che mette un punto definitivo al segreto salariale. La decisione intrapresa dal Parlamento Ue ha lo scopo di rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione e della trasparenza dei contratti di lavoro. E di superare, si auspica definitivamente, il gender gap negli ambienti di lavoro.
Stando all’art. 2 del documento, la direttiva Ue “si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato e a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia”.
Il testo suggerisce che le aziende europee con almeno 50 lavoratori “dovranno vietare le condizioni contrattuali che impediscono agli stessi di divulgare informazioni sui loro stipendi o di chiedere informazioni in merito ad essi o alla retribuzione di altre categorie di lavoratori, e rendere trasparente ogni divario retributivo di genere esistente al loro interno”. Inoltre, se le informazioni sugli stipendi rivelano un divario retributivo pari o superiore il 2,5%, i datori di lavoro, in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, dovranno condurre una valutazione delle retribuzioni ed elaborare un piano d’azione per garantirne la parità.
Infine, nel caso in cui un lavoratore o una lavoratrice, abbia subito una discriminazione retributiva basata sul genere, può presentare ricorso in sede di giudizio. Per i soggetti danneggiati è previsto un risarcimento che comprende “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora”. È responsabilità del datore di lavoro dimostrare che non c’è stata alcuna discriminazione.
La direttiva Ue 2023/970 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Ue a maggio, ma entrata in vigore in questi giorni) dovrà essere recepita dall’Italia entro il 7 giugno del 2026.
Disparità di genere in Italia e in Europa
La disparità retributiva tra uomini e donne nell’ambiente di lavoro rappresenta ancora uno scoglio difficile da superare. Recenti studi hanno evidenziato che nel Vecchio Continente le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini per lo stesso lavoro. Un gap che, in termini pensionistici, si traduce in una differenza di quasi il 30%.
Secondo uno studio dell’Adp Research Institute, People at Work 2023, che ha coinvolto anche i lavoratori italiani, nel 2022 solo il 36% delle donne ha avuto un aumento salariale rispetto al 50% degli uomini. Sempre nello stesso anno, gli aumenti salariali sono stati in media del 6,7% per gli uomini e del 6% per le donne.
Ma non sono soltanto le donne a subire pesanti differenze in termini retributivi. Anche i lavoratori più giovani e anziani si sentono trascurati dai loro datori di lavoro quando si tratta di aumenti di stipendio. La maggior parte, infatti, è convinta che non riceverà nessun aumento retributivo nei prossimi 12 mesi. Ecco, quindi, che le aziende (come viene esplicitamente espresso anche dalla direttiva) sono chiamate a garantire, a partire dalla fase di recruiting, un atteggiamento equo e neutrale nei confronti di tutti i lavoratori.